mercoledì 8 luglio 2009

Intervistando Andrea Cigni, regista di Aida


Foto di Sara Giosa

In prossimità dell’apertura della seconda riproduzione dell’opera di Verdi prodotta da Multipromo, abbiamo incontrato il regista Andrea Cigni: nato il 6 gennaio 1974, a soli 35 irronizza raccontandoci di sè e della sua Aida:

il suo approccio col teatro ha avuto inizio dalla primissima età di 10 anni, tra amici, oratori e parrocchie; dove cresce tra esperienze amatoriali e di sperimentazioni, lungo tutta la sua adolescenza. All’età di 18 anni, si iscrive presso il DAMS di Bologna, dove si laureerà con una tesi su Ronconi e sull’adattamento tra opera, teatro e televisione: l’interazione che vi nasce tra queste differenti linguaggi. Grazie a diversi stage e concorsi prende lezioni di recitazione e dizioni. Ma è stato lo studio universitario che lo ha affezionato al teatro di Eugenio Barba; all’Odin Teatret; Jerzy Grotowski e quindi all’uso dell’espressività corporea in scena; a dei richiami anche molto atropologiche. Lungo il percorso di studio, si esercita anche come mimo e attore, collaborando con molti registi importanti tra i quali Pier Luigi Pizzi e Giancarlo Cobelli, persone che oggi non ci sono più purtroppo, ma tanti ancora attivi.

È rimasto in contatto con alcuni di questi registi dove si è esercitato come assistente, magari per eventuali scambi di idee?

“Si, gli auguri di Natale e altre piccole cose, certo non ci scambiamo telefonate di confronto, ma quando capita di incontraci e stare insieme si fanno tesoro dei consigli. Ho fatto l’assistente di queste persone fino a quando ho iniziato a mettere in scena cose mie di prosa con pochissimi attori dal Teatro del Carretto di Lucca etc. E il grande esordio è stato nel 2006 con una performace di danza e musica intitolata Buenos Aires Madrigals”.

Cos’è del teatro che le suscita passione?

“La Libertà. C’è una libertà in teatro che benchè siano presenti delle regole, tali regole sono ataviche. Come nella Chiesa, nel teatro c’è una celebrazione che segue delle regole; ma c’è anche un rispetto di queste regole che devono avere, sia coloro che assistono allo spettacolo che coloro che interpretano la rappresentazione. Per un luogo, per un momento o un’azione, per una celebrazione, la Libertà, è una cosa che mi affascina molto, perché nonostante queste regole, si ha la possibilità di renderci liberi; di esprimersi; di lavorare con le persone; di far fare delle cose”.

In virtù di questo rispetto?

“Si, rispetto all’interno di un certo meccanismo. La libertà che è quella dell’espressione: la possibilità di tradurre con un linguaggio tuo, cose anche scritte, composte, musicate da altri; mettendoci una tua grandissima componente intima, che ricorre spesso e volentieri da un bagaglio coltivato tutta la vita”.

Vista l’esperienza precedente di mimo e attore, perché è divenuto regista?

“Perché come attore non valevo molto e forse anche come regista”, ironizza il Cigni. “Pensavo di non avere grandi doti attoriali, e non so se ne ho come regista, ma la cosa che mi stimola molto è vedere altri interpretare delle mie idee. Quando si lanciano delle idee, si dicono delle cose che devono esser fatte. Dando degli imput gli altri lo prendono e lo interpretano alla base delle loro esperienze, a delle riflessioni che fanno; a una loro capacità o incapacità perché, spesso non vengono tradotte a pieno o spesso posso essere arricchite . Questa è quindi la cosa che mi ha spinto a divenire regista”.

Perché così giovane si accosta all’opera lirica?

“Perché la lirica racchiude una molteplicità di linguaggi: danza/ recitazione/ canto, cose che magari nel semplice teatro di prosa non è presente, ma piuttosto parole e azioni. Qui ci sono tanti linguaggi compreso quello espressivo corporeo, e quindi l’opera lirica, come nel trattato di Wagner, -danza parola e musica-, l’opera è molto completa, ed è un prodotto tipicamente italiano, geniale in questa sua essenza, che affascina molto. Mi piace molto ma non escluso il teatro di prosa”.

Nel teatro odierno è presente questa dicotomia tra opera e musical, lei che ne pensa?

“Sono anche lì linguaggi diversi, si ha un pubblico ed una fruizione diversa, così come un tipo di ascolto diverso. Nel caso del musical per esempio è meno impegnato e meno profondo, qualcuno dice che è una moda moderna di opera, ma secondo me non possono essere una sostitutiva dell’altra, non c’è ne padre ne madre come in questo caso parlando di opera, ma sono completamente differenti che soddisfano esigenze diverse. Il musical per esempio, non tocca le stesse corde dell’opera, pur rispettando i musical. Ma ripeto non c’è possibilità di far paragoni”.

Collaborando con l’artista Igor Mitoraj, che rapporto si è creato fra di voi?

“Con Igor si è creato un bel rapporto. Ci siamo visti poco ma ho percepito la sua presenza attraverso le opere. Dalle sue statue ho capito un po’ di lui, di quello che voleva comunicare attraverso il suo lavoro; in questo senso mi ha trasmesso attraverso il suo lavoro, del languore che ho tradotto scenicamente in modo congeniale per la sua teatralità. Del suo lavoro, bisogna saperlo leggere e contestualizzarle, capirlo e metterlo in scena creando qualcosa attorno”.

Questa prestazione scenica è stata usata in che modo?

“La necessità di comunicare i luoghi, di esprimere sentimenti ed emozioni si è tradotto in uso consequenziale, sia per quanto riguarda mettere gli oggetti in modo simmetrico, o in modo irregolare, utilizzare una faccia o una scultura piuttosto che un’altra. Nella scena del trionfo per esempio, il centaura entra come il tesoro dei vinti, che viene sottratto per mano egizia dal popolo invaso, quale etiope. Di solito entrano monili, tesori e catenine, il centauro rappresenta invece il simbolo del popolo di Aida, la quale al comparir del centauro, riconosce sconvolta il suo simbolo nativo. Niente deve essere dato per scontato e niente lasciato al caso”.

E lo spazio come è stato ottimizzato tra coristi e comparse?

“Col poco tempo che ho avuto, ho cercato di adottarle in modo corretto, dando spazio necessario ai grandi numeri che componevano i coristi e le comparse ( circa 170), e lo spazio indispensabile ai protagonisti. Piccoli movimenti per le comparse quindi, come piccoli gesti di saluto, mantenendo ordine tra ingressi ed uscite di scena”.

Come si è trovato col cast?

“Molto bene”, risponde entusiasto il regista. “Io conoscevo già Dimitra, ma non gli altri interpreti che ho trovato comunque molto bravi, preparati, sensibili, e con la voglia di capire quello che voelvo comunicare. Non sono molto per la recitazione ottocentesca del gesto melo-drammatico, e con loro ho lavorato nella ricerca di pulizia, nella ricerca della comunicazione e di quello che tra i cantanti si dicono: messaggi molto molto importanti. Sta un po a loro farci capire che hanno capito, e così, possiamo affezionarci ai personaggi”.

Quale dei personaggi ha rappresentato meglio la sua idea?

“In scena ognuno porta la propria esperienza, la propria voglia di fare di metterci del suo, e una voglia di capire quello che il regista ha chiesto. Probabilmente Serena Pasqualini ( Amneris) ha capito e in modo molto umile e intelligente, ha chiesto che cosa volessi dire. Chiedeva costantemente controllo di quello che stava facendo e dicendo. In teatro non c’è bello o brutto, ma piuttosto efficace o inutile, lei è stata molto efficace, ma con questo non voglio dire che gli altri siano stati inutili assolutamente. Diversi livelli di efficacia. Dove la dialettica tra interpreti e regista l’ha aiutata molto nel risultato”.

A seguito della prima è rimasto soddisfatto?

“Si, ma bisogna non esser mai pienamente soddisfatti, perché così c’è uno stimolo a far meglio. Non c’è una presunzione nell’essere eternamente insoddisfatto, ma credo che raggiungere una soddisfazione sia un lusso che non ci possiamo permettere, dobbiamo rimanere sempre sulla graticola, cercando di migliorare con umiltà; con umiltà e con rispetto di quello che stiamo facendo. Pensando ad una funzione di servizio, per qualcosa che le persone vengono a fruire. Siamo a servizio del pubblico, come il sindaco, che viene definito primo cittadino, in realtà proprio perché al servizio dei cittadini diventa l’ultimo cittadino dando spazio e priorità agli altri”.

In conclusione cosa si aspetta da questa seconda riproduzione?

“Spero sia migliore del primo, perché bisogna migliorare sempre”. Risponde sorridendo il regista.

Malia Zheng

Nessun commento:

Posta un commento