giovedì 29 luglio 2010

LEI, LUI E L'ALTRO

La seduzione di Zerlina inizia con la festa del suo matrimonio, ma arrivo di Don Giovanni con il suo fido Leporello cambierà di molto l’esito della festa .Con un gesto involontario Zerlina esempio stringere il grembiule, respingere l’abbraccio di Don Giovanni,proprio questo rende lei bella e amabile, e la sua relazione con Masetto giusta e corretta. Sentire sua aria e «batti, batti» come un atto di riconciliazione un vero e proprio errore. Ma non per sfuggire alla trappola di Don Giovanni lei vede che Masetto è in collera, e non le resta altro da fare che mettere a posto le cose con lui e con se stessa. Nella sua innocenza deve essere mantenuta questa ingenuità, e proprio non capisce per nulla come mai Masetto si sia potuto arrabbiare così tanto. La riconciliazione non deve dunque avere nessun carattere di pacificazione,non appena lei vede Don Giovanni, ricomincia di nuovo, e così deve di nuovo andare e piagnucolare davanti a Masetto, e così facendo lo conforta, e lei stessa crede, alla fine, che Don Giovanni e Masetto hanno litigato Dio sa perché e che lei è quella che deve placarli entrambi. Ma Zerlina è imperturbabile, va allegramente sia a ballare con Don Giovanni, sia a confessarsi da Masetto. Lei è dappertutto, sente di essere in compagnia di quelle distinte signore e sente di essere importante proprio come una di loro, partecipa alla cattura di Don Giovanni non per punirlo di averla sedotta, ma perchè ha picchiato Masetto e per questo trova che Leporello sia altrettanto colpevole, perché anche lui ha picchiato Masetto. Zerlina non è per Don Giovanni per niente inferiore ad una qualunque altra giovane, ma qualcosa di diverso da Elvira e Anna, e a suo modo altrettanto attraente ed essenzialmente lo impegna allo stesso modo. Zerlina deve essere interpretata in modo tale da produrre in un buon spettatore una certa allegria, perché inutilmente userà  la categoria della serietà con lei, e da strappargli un sorriso, quando viene vista in relazione a Masetto, perché Zerlina essenzialmente non è né sedotta né salvata, ma continuamente nei pasticci. Il povero Masetto al contrario è continuamente schiacciato dal Nobile Don Giovanni e dalle ambiguità della sua Zerlina che ama immensamente.

Intervista a : Francesca Fedeli (ZERLINA) e Gianluca Margheri (MASETTO).

Zerlina la grande seduttrice:

Il mio personaggio è una contadina che riesce a sedurre il Don Giovanni , la sua storia ruota intorno alla seduzione, una figura che si compiace dell’ interesse che suscita di fronte al nobile e che per Zerlina questo e quasi una riscossa sociale. Si può dire che Zerlina è il personaggio più vivo rispetto alle altre due donne (donna Anna,donna Elvira), anche la tipologia delle due arie sono scritte rispettando i canoni dell’ opera seria. Il personaggio di Zerlina è un personaggio più schietto più semplice, è una contadina e allo stesso tempo anche una seduttrice, per certi aspetti ingenua, femminile, consapevole di far fare a Masetto ciò che vuole.

Masetto il testardo:

Masetto è un personaggio leggero,che lascia spazio a diverse interpretazioni, si può fare il Masetto innamorato, il Masetto incavolato, ingenuo,testardo o addirittura stupido. Avendolo interpretato un’altra volta è divertente provare ad interpretare o ricercare aspetti sempre nuovi, diversi,un po’ per fartelo piacere di più e un po’ per approfondire di più il personaggio. Ma questa volta è un Masetto piuttosto testardo ed orgoglioso, innamoratissimo di Zerlina, che purtroppo si fa schiacciare dagli eventi. Lo spettacolo è ambientato nel ‘600 e lui contadino non può mai rivolgere ad un suo superiore con un certo tipo di aggressività. Il mio Masetto mi piace farlo venire fuori come un uomo con molta frustrazione,il voler fare ma non poter fare lo costringe ad una continua ricerca della sua amata Zerlina.

Ivan
Foto di Ivan

DONNA ANNA: UNA SEDUTTRICE SEDOTTA

Donna Anna è una delle tre donne ingannate da Don Giovanni.

Tre, come le Erinni del mito greco, Aletto, Megera e Tisifone, personificazioni della Vendetta che scaturiva dai fatti di sangue.

Donna Anna, vuole vendicare il padre, il Commendatore. Donna Elvira si sente tradita e anch'essa insegue il seduttore, anche se in realtà lo vuole possedere, mentre Zerlina si finge ingannata, nonostante sia stata lei ad ingannare il marito Masetto atteggiandosi ad ingenua.

Don Giovanni è entrato nel palazzo del Commendatore e spacciandosi per Don Ottavio, il promesso sposo, tenta di violare Donna Anna la quale, una volta scoperto l'inganno, cerca di trattenere e smascherare l'impostore.

Richiamato dalle grida della figlia accorre il Commendatore che muore ferito nel duello.

Donna Anna, straziata dal dolore, fa giurare all'amato che lo punirà.

Il desiderio della protagonista di vendicare la morte del padre è un sentimento naturale, anche se, dato il suo forte temperamento, alla vendetta potrebbe provvedere da sola, senza l'ausilio di chicchessia.

Ma deve salvare le apparenze sociali e quindi chiede all'uomo di salvare il suo onore di figlia, visto che l'onore per antonomasia lo ha già perso da tempo, essendo avvezza alle visite notturne, come lei stessa ammette nel lungo recitativo “Orsai chi l'onore”.

Donna Anna è quindi una giovane appassionata nella quale l'amore è intessuto di tenerezza, inteso come un dovere e perciò rivolto al promesso Don Ottavio.

Il 4, 9, 17 luglio il ruolo di Donna Anna è interpretato dal soprano Daria Masiero, la quale ha precedentemente interpretato tutte le parti femminili dell'Opera.

Quale personaggio preferisce e quale la rappresenta di più vocalmente?

“ Cantare Zerlina non è stata una bella esperienza, un periodo particolare della mia vita di cui non ho un bel ricordo. Oltretutto non è un tipo di scrittura che va bene per la mia voce.
Psicologicamente preferisco Donna Elvira. Donna Anna è un personaggio statico, uguale per tutto il tempo dell'azione: è arrabbiata con Don Giovanni dall'inizio alla fine. Invece Donna Elvira ha il contrasto interiore delle donne innamorate: passione, rabbia, voglia di cambiare un uomo anche se questo risulta impossibile.
Musicalmente Donna Anna canta due arie meravigliose: Orsai chi l'onore, forse non una delle pagine più belle di Mozart, ma dal recitativo molto intenso e drammatico, e Non mi dire, un esempio di puro bel canto di una difficoltà mostruosa.”

Cosa ne pensa di questo Don Giovanni medievale con costumi seicenteschi?

“Il Don Giovanni è una storia così attuale che si può fare in tutti i modi e adattare a tutte le epoche, inoltre si sposa bene con l'Abbazia di San Galgano, essendo di per sé uno scenario suggestivo.”

Quanto è difficile creare una sintesi tra la dimensione musicale e quella recitativo/gestuale?

“Dipende da quanto il regista e il Direttore d'Orchestra si impongono sulle tue scelte musicali.
In questo caso il regista Luca Verdone e il M° Beltrami sono stati molto intelligenti in quanto hanno lasciato carta bianca. Ci sono dei punti musicali stabiliti, ma sul recitativo ho potuto dare libero sfogo alla mia interpretazione e seguire quello che sentivo dentro.”

Come si è preparata per affrontare la parte?

“Dipende dal personaggio; di solito inizio con l'ascoltare tutta la musica e individuo i punti di maggiore difficoltà, poi prendo il libretto, sottolineo tutta la mia parte e la studio musicalmente. Da quel momento inizio ad essere il personaggio. Molti mi riconoscono questa qualità, di diventare ciò che sto cantando, e di non essere solo una riproduttrice di note.”

C'è un personaggio a cui lei è particolarmente affezionata e uno che vorrebbe interpretare?

“Sono una cantante passionale, una cantante pucciniana. Forse il personaggio che mi rappresenta di più è la Mimì (Boheme). Un ruolo che amo musicalmente è la regina Elisabetta del Don Carlo (Verdi). Mi avevano proposto la Madama Butterfly. E' stato difficile rifiutare, ma non mi sentivo pronta per affrontare questo ruolo così importante e avrei potuto danneggiare la mia carriera. Spero che ci sia un'altra occasione.”

Sono sicura che un'altra possibilità arriverà presto. Prima di entrare nel camerino e di incontrare il soprano ero molto emozionata. Mi sono trovata di fronte una donna sensibile e disponibile. Con la sua voce dolce e delicata mi ha subito messo a mio agio. Sono uscita elettrizzata e con la certezza che porterò sempre nel cuore la mia prima intervista!

Un saluto e un ringraziamento speciale a Daria Masiero.

Maddalena
Foto di Ivan

QUANDO SI DICE CHE UNA DONNA HA LO SPIRITO DELLA "CROCEROSSINA"

Mozart era veramente un personaggio estroso e pieno di talento e credo che ciò fosse chiaro a tutti coloro che lo conoscevano sia come persona che come musicista. E non ha potuto non dimostrarlo anche in una delle sue più celebri opere, Il Don Giovanni. Uno dei personaggi a cui il compositore ha voluto far il dono di essere il più incoerente, inverosimile e talmente buono da stuccare è quello di Donna Elvira, amante umiliata e tradita di Don Giovanni. Ella, dopo essersi innamorata di lui, viene abbandonata e così, furente e ferita nell’orgoglio ma soprattutto nell’animo, decide di perseguitarlo per smascherare la sua natura di traditore e bugiardo di fronte a tutti. Essa vive in modo drammatico il tradimento e il fatto di essere stata lasciata e tradita le fa perdere il senno e il controllo di se stessa, si erge a “paladina della giustizia” in difesa di tutte le vittime del Dissoluto. Inizialmente si mostra come una donna forte e determinata nel voler a tutti i costi vendicarsi del torto subito tanto da definirla un “angelo sterminatore” (L. Verdone). Quello che invece essa incarnava per Mozart era una forma terrestre del principio dell’Agape ossia una forma di amore fraterno e disinteressato che di fatti la condurrà nel finale a mutare completamente il suo comportamento trasformando la sua rabbia verso il Dissoluto in un sentimento di pietà e compassione. Mozart ha conferito ad una donna, cosa non ordinaria per l’epoca, la qualità di redentrice, perché credeva nella perfettibilità umana e anche se Elvira non raggiunge concretamente il suo scopo, nell’ultima parte del dramma, si fa rappresentante umana del Diritto naturale, in contrasto con l’azione della Giustizia Divina che invece è rappresentata dal Commendatore. Quello di Donna Elvira è di fatti l’unico personaggio che subisce un profondo cambiamento perché è la sola ad aver fatto della compassione un principio attivo e personale ed è animata da un sentimento che la spinge a proteggere gli altri da azioni che li potrebbero condannare all’eterna dannazione. Ma quale donna tradita ed abbandonata spererebbe nella redenzione e nella salvezza per l’uomo che l’ha ferita? Per questo, tale personaggio appare fasullo e molto costruito, da donna forte come pareva inizialmente Elvira diventa debole, una donna senza carattere che si fa calpestare da un uomo che non l’ama e non l’amerà mai, una donna senza un minimo di orgoglio e amor proprio che dopo aver subito una beffa del genere continua imperterrita a perseguitare Don Giovanni in giro per il mondo, non proprio un comportamento da donna di classe.


Elvira, interpretata dal soprano Debora Beronesi, una donna da una forte personalità, carismatica, sicura di sé che possiede ben pochi tratti in comuni con il personaggio che va a cantare, viene definita da essa la classica donna dallo spirito della crocerossina. Per la Beronesi essa incarna quella capacità tutta femminile di dedicarsi all’amore in modo incondizionato, una donna che fino alla fine fa di tutto per “salvare” l’uomo amato dai suoi sbagli e di cambiare il suo essere. Essa dice del suo personaggio < Il carattere di Elvira è stato a mio parere molto estremizzato se pensiamo anche all’epoca in cui è stata composta l’opera. Capisco però il suo comportamento perché in noi donne esiste lo spirito della crocerossina ma personalmente non mi comporterei mai come il mio personaggio, una vera signora non correrebbe mai dietro all’uomo che l’ha abbandonata >.

Credo che a questo punto sia giusto rivolgermi a voi, Donne. Non sappiamo che cosa avesse in mente Mozart quando un giorno svegliandosi decise di dare vita a Donna Elvira. Posso solo dire che grazie alla sua Opera ho potuto vedere che cosa è capace di fare una donna per amore ma anche a quali livelli si può abbassare. Le donne che ci hanno preceduto nella storia hanno lottato per noi, per il nostro futuro, per farci capire che non dobbiamo essere per forza delle mogli e delle mamme per essere realizzate e orgogliose di noi stesse e soprattutto, cosa più fondamentale, che non ci serve di certo un uomo per essere ciò che vogliamo. Quindi a tutte le Elvire in ascolto, credete in voi stesse e se il vostro lui vi sfugge di mano non perdete tempo a rincorrerlo, non sa quello che si perde.

Silvia

LEPORELLO, SERVO DI DON GIOVANNI?

Il suo ruolo nell'opera buffa sopravviene questa denotazione, assumendo una funzione di mediatore tra i livelli di lettura della rappresentazione. Difatti egli è il tramite tra il centro della dimensione d'azione drammatica di Don Giovanni e le altre che ineriscono tale livello con ambivalenza emotiva, che vive dell'antinomia tra l'attrazione e l'ostinato biasimo verso la figura del protagonista.


Non a caso anche le dinamiche tra Don Giovanni e Leporello agiscono nella contraddizione che costantemente risorge fra il disgusto per la vita da briccone, che il padron conduce e la sua inconfessata ammirazione per lui, anzi in certi momenti il suo identificarsi con lui.

Cosa che non è detta dal libretto di Da Ponte, ma dalla musica. Tanto è vero che Leporello nell'aria del catalogo, in tono celebrativo ed entusiasta, sciorina a Donna Elvira tutte le conquiste avute nei vari paesi; in Spagna 1300.

Un altra considerazione del rapporto tra Don Giovanni e Leporello è che quest'ultimo svolge alle volte una funzione di coscienza del padrone come appare dalla II scena del I atto, dopo l'omicidio del Commendatore, il servo condanna l'eccesso, scatenando una secca replica: “L'ha voluto: suo danno” e quando Leporello ribatte: “Ma Donn'Anna cosa ha voluto?” egli reagisce incollerito con un “Taci, non mi seccar!”. E' la coscienza che va placata.

Un'aspetto del personaggio che ricorre spesso è la sua ironica viltà, non si tratta di un ortodossa codardia, ma aberra il rischio in ogni sua forma; quando il pericolo si conforma nel fenomeno del duello tra il suo padrone e il Commendatore nella prima scena del I atto, teme “che il malandrino lo farà precipitar”; o quando accetta, suo malgrado, di indossare i panni di Don Giovanni, poi smascherato nella scena VIII del II atto, si appella al pathos e al logos dei degli altri personaggi per aver salva la vita, esclamando: “Ah pietà di me!”(...)“Il padron con prepotenza l'innocenza mi rubò.”. Ma soprattuto indicativo di questa sua idiosincrasia al rischio è il fatto che Leporello alla morte di Don Giovanni vada “a l'osteria a trovar padron miglior.”, egli non sembra capace né di una scelta autonoma, né di responsabilità e per questo sottostà sempre e solo all'altrui benevolenza o malevolenza.

Quest'ultima scena è stata tagliata dalla regia di Luca Verdone in accordo con l'estetica romantica dell'ottocento, per rendere i personaggi prossimi all'esperienza legata alle influenze del titanismo, dove l'anima sofferente consuma la vitalità fino alla morte consapevole da egli cercata; è l'equilibrio che si ristabilisce, dopo la violazione della legge umana, morale o divina, che sia connessa a peccati o misfatti.

L'interprete di Leporello, Ugo Guagliardo pensa a riguardo:“Don Giovanni è un anima in pena, secondo me rappresenta l'uomo che tende sempre a qualcosa di altro, è proprio quella tensione verso la ricerca che lo reca insoddisfatto della conquista in sé e questo è il motivo per il quale nessuna donna può riuscire ad appagarlo.

Leporello è divertente, ma non è un personaggio buffo, è riduttivo considerarlo tale, anche perché ha una tale maturità e complessità, proveniente dalla concezione che Mozart e Da Ponte hanno fatto, per le note e le parole che canta.”


Elisa
Foto di Ivan

IUS VITA NECISQUE: DIRITTO DI VITA O DI MORTE

Il Commendatore, padre di Donna Anna, è l'antagonista diretto di Don Giovanni.

Mentre tutti gli altri attori si definiscono confrontandosi con il protagonista, il Commendatore è l'unico che non subisce il fascino che emana il seduttore.

Morto, diventa statua e torna a essere personaggio nella scena quindicesima del secondo atto: “Di rider finirai pria dell'Aurora!”.

A lui viene affidato il compito del vendicatore. La statua chiede il pentimento di Don Giovanni e al suo sprezzante rifiuto, con la sua mano gelida, lo trascina all'inferno.

L'apparizione della Statua sembra un deus ex machina, che viene calato in scena per punire i vizi e la scelleratezza umana. Il verdetto del Commendatore è un giudizio divino, la statua è la personificazione della “qualitas” etica.

Anche se appare solo in poche battute, il suo ruolo è estremamente importante. Detta infatti l'inizio e la fine dell'azione. Lui, essendo stato ucciso, è l'unico che può decretare la morte di Don Giovanni.

Ma lo scontro non da né vincitori né vinti, non conosce catarsi: Don Giovanni viene dannato ma il suo fascino rimane intatto.

Prima delle prove per la ripresa del Don Giovanni al Giardino di Boboli( 22 luglio) incontro il basso Abramo Rosalen, che molto gentilmente risponde ad alcune domande a proposito della parte da lui interpretata, il Commendatore, e della sua carriera.


Lei è diplomato in organo e composizione organistica, come si è avvicinato al canto e alla musica lirica?

“Mi sono diplomato nel '96 al conservatorio di Trieste, ma parallelamente avevo sviluppato una forte passione per il canto. L'approccio con il canto è stato corale, cantavo in un coro, dove per altro, come spesso succede, ho conosciuto mia moglie - sorride dolcemente e osserva la fede – Poi i direttori del coro, notando la mia voce, mi hanno consigliato di studiare canto, così ho deciso di finire velocemente gli studi di musica e seguire il suggerimento.”

Cosa ne pensa di questo allestimento del Don Giovanni?

“ E' una rappresentazione tradizionale, mi piace molto. Non sono contrario alle versioni moderne, purché siano fatte bene.”


Non è la prima volta che recita nei panni del Commendatore. E' un personaggio che la rappresenta vocalmente?

“Ho interpretato anche Leporello, ma mai in posti così “prestigiosi”, perché è un personaggio difficile: bisogna essere scenicamente dinamici e vocalmente “sprintosi”.Invece il Commendatore, nonostante sia un personaggio fermo, che appare poco in scena, richiede una vocalità imponente. E' anche un ruolo rischioso, perché canta poco e per quel poco che canta il pubblico si aspetta che lo faccia molto bene.”

Quale genere preferisce interpretare?

“ Inizialmente cantavo musica sacra , poi mi sono avvicinato alla musica barocca. Nel 2002 ho debuttato alla Biennale di Venezia in un'opera contemporanea, “Big Bang Circus”, di Claudio Ambrosini, un artista molto conosciuto all'estero. E' stata un'esperienza molto bella e importante, essendo la musica contemporanea di difficile esecuzione. Quest'anno mi sono avvicinato al repertorio tradizionale italiano: Verdi e i suoi personaggi iniziano ad appassionarmi.”

Quali ruoli le piacerebbe interpretare?

“ Beh, sempre a proposito del repertorio di Verdi mi affascinano i grandi ruoli di Fiesco, in Simon Boccanegra, Banco nel Macbeth, Filippo II nel Don Carlo. Sarebbe molto bello interpretare Procida nei Vespri Siciliani, un'opera di Verdi in cui non ha mai debuttato.”


La breve intervista finisce qui, con tanti ringraziamenti per la disponibilità e gli auguri reciproci per la realizzazione dei progetti futuri.

In bocca al lupo a noi!


Maddalena

DON GIOVANNI: UN CONTRASTO DI OTTICHE

La caratterizzazione psicologica dei personaggi, è parte integrante del capolavoro di Mozart e Da Ponte.

Don Giovanni, il protagonista dell’opera, è sicuramente la creazione psicologica più affascinante dell'opera, incompiuta ma allo stesso tempo unificante e dalla quale dipendono tutti gli altri personaggi.


Don Giovanni è un ricco nobile votato all’edonismo, esalta ogni tipo di ricchezza materiale: lusso, vino, cibo ma prima di tutto adora le donne. Egli sente il loro odore, ama tutto l’universo femminile e cerca di sedurre ognuna, che siano “contadine, cameriere, cittadine” o “contesse, baronesse, marchesane, principesse” “d’ogni grado, d’ogni forma e d’ogni età”. Cosa sia per Don Giovanni la passione per le donne è esplicito in diverse frasi del libretto “le donne son necessarie più del pane che mangio, più dell’aria che spiro!” “E’ tutto amore: chi a una sola è fedele con tutte l’altre è crudele. Io che in me sento si esteso sentimento, vo’ bene a tutte quante.”

Ma il suo obiettivo non è quello di possederle fisicamente ed esteticamente, quanto di sedurle psichicamente, così come plagia gli altri personaggi ed il pubblico.

Il suo è un fascino brutale che fa strage in ogni cuore, che macchina costantemente inganni. Don Giovanni sembra davvero amare, è davvero infuocato dall’ardore per le sue donne e alterna la passionalità bollente alla sensualità delicata. Ed è proprio questo che gli riesce meglio, l’essere camaleontico, saper sempre con che maschera mostrarsi e a chi, e non solo in senso figurato data la nota predilezione del nobile per il travestimento e la frode.

Vive in un eterno presente durante il quale va alla ricerca forsennata di piaceri sempre nuovi e tenta di conquistare l’attimo fuggente.

E’ ossessionato dai divertimenti: rincorre le donne, organizza cene, feste e balli nel suo palazzo, è attratto dai convivi, dalla musica e dall’opulenza.

Per lui tutto è una burla, si prende gioco di tutto e di tutti, rifugge la realtà e pretende di violare il rispetto di ogni persona e di ogni norma a suo piacimento.

E’ un essere bestiale più che umano, tutta la sua esistenza è prettamente determinata dai sensi, non s’interroga sulle conseguenze delle sue azioni, è vuoto di sentimenti e infastidito dai troppi pensieri.

Egli vive viaggiando, capitando in situazioni imprevedibili, incontrando donne in ogni dove. Questa è la sua caratteristica essenziale, il movimento costante, il perpetuum mobile.

Mozart e Da Ponte fanno del tempo un concetto basilare del mito: Don Giovanni è privo di ricordi e di progetti, quindi non ha un passato né un futuro, ciò che è duraturo è per lui di vana importanza. E’ un personaggio ossessionato dalla rapidità, come ci spinge a immaginare la musica incalzante durante le sue arie e i ricorrenti “orsù” “presto” “non perdiam tempo” del libretto.

La sua frenesia, vitalità, eccitazione dissennate sono travolgenti. E’ una creatura che traduce immediatamente il pensiero in azione. Un animale che impazzisce correndo su e giù in una sorta di gabbia ritmica. Procede attraverso una perseverante fuga e si nutre di esperienze al limite, è connotato da un’irrequietezza violenta perché infinitamente tesa.

L’assidua volontà di realizzare ciascun istinto lo sospinge fino a travalicare ogni tipo di limite, ma non gli basta il compimento, perché il suo vitalismo e la sua sovreccitazione si nutrono e si autoalimentano del dinamismo stesso e della ricerca spasmodica dell’emozione del possesso.

E’ un personaggio anticonformista e ribelle, che sfida apertamente le convenzioni sociali, è fuori da ogni ordinamento etico precostituito e da ogni schema moralmente riconosciuto e apprezzabile. Agisce trasgredendo le regole perché è inconsapevole che ne esistano, e quando ne viene a conoscenza non se ne cura affatto.

A causa della sua dissolutezza e immoralità provoca in ognuno un sentimento di violenta riprovazione, e viene considerato un tabù da emarginare e distruggere.

Ma al tempo stesso il mondo di Don Giovanni attrae inevitabilmente nella sua orbita tutte le persone che incontra, che in molti casi sono diverse da lui e da lui si ritraggono, non perché siano del tutto moralmente integre, ma perché pervase da scrupoli con i quali celano la volontà di abbandonarsi a passioni illecite. E’ un’inconsapevole calamita da cui tutti sono fatalmente attratti e propulsore ignaro dell’agire altrui.

Il protagonista è presente dall’inizio alla fine dell’opera , ne è la componente uniformante, è sempre in scena se non fisicamente nelle parole, nei desideri, nei sentimenti dei personaggi, per ognuno dei quali rappresenta la principale fonte di turbamento. Figure che gli chiedono di condividere le norme morali e sociali, e le personali inclinazioni e aspirazioni sentimentali, e alle quali lui si nega.

Don Giovanni non si sente responsabile delle conseguenze dei suoi atti perché abbandona tutto nell’istante successivo all’averlo afferrato. Non vuole rifuggire le proprie contraddizioni: non sa risolvere il contrasto tra la sua ontologica insicurezza interiore e la sua apparente forza esteriore.

Si rifiuta con fermezza di cambiare. Rimane integro solo con se stesso: non si pente e non cerca redenzione per la sua malafede. Nega fino all’ultimo la condivisione delle regole e dell’integrità, persino di fronte alla morte si rifiuta di espiare le proprie colpe. Rimane perfettamente coerente con se stesso e con il proprio dinamismo, anche nello slancio finale con cui stringe la mano al Commendatore, venuto dall’oltretomba per confinarlo negli inferi.

Così, dopo aver negato ogni richiesta, dopo l’estrema e fatale ribellione, quali appellativi migliori di “empio traditore” e “dissoluto punito”?!

Eppure, dobbiamo fare i conti con il contesto storico-culturale in cui è stato scritto: nel secolo dei Lumi. Ci renderemo conto, che in quest’ottica, Don Giovanni è soprattutto simbolo del mutamento di quell’epoca: la religione fu contrastata attraverso l’esaltazione di quei valori da essa non riconosciuti; furono celebrate la ragione, la curiosità e le scoperte; tornò con forza inaudita l’idea che la storia dell’uomo è un continuo progresso verso nuove forme di vita e organizzazione sociale, determinate dall’uomo stesso.

 

Intervistando Alvaro Lozano Gutierrez, il baritono che canta Don Giovanni, mi confessa che questo è il ruolo che su tutti più si avvicina alla sua personalità.

Non sopporta la banalità cui spesso è soggetta la sua interpretazione: un donnaiolo libertino destinato ad essere punito con l’inferno.

Per lui Don Giovanni è un personaggio che va oltre, che si è stancato della mediocrità della vita, che tende sempre verso l’inesplorato e a nuove avventure. Alvaro mi fa un esempio molto efficace di questo: quando Don Giovanni si trova dinanzi il convitato di pietra, più che la paura rimbalzano in lui lo stupore e la curiosità di scoprire “cosa succederà ora?” E’ una persona stanca e infastidita dalla banalità dell’essere umano, che sa di essere sporco e insincero ma si cela dietro un velo di bigottismo. E’ stufo anche della banalità dell’amore, perché le donne fingono di non capire le sue reali intenzioni, così si diverte a giocarci.

Alvaro ha definito il suo personaggio “uno a cui gli sta piccolo il mondo”, “un cervellone”, “uno studioso”, “un chimico pazzo” finendo col paragonarlo per genialità e rincorsa alla scoperta al dottor Frankenstein.

Ma Don Giovanni non si sentirà mai contento né compiuto qualsiasi cosa faccia, è un eterno insoddisfatto, un po’ come lui, che insegue il suo apice pur sapendo che non sarà mai abbastanza in alto da appagarlo.

Chiedo al mio interlocutore se è consapevole che il dongiovannismo è una malattia per la quale la parvente forza esteriore nasconde uno stato patologico di insicurezza, e Alvaro mi risponde che proprio l’insicurezza è alla base di tutto: “siamo su una gigantesca palla, che gira intorno ad un’altra palla gigantesca, e contemporaneamente gira attorno a se stessa a milioni di kilometri orari, più veloce della luce, e tu vuoi una sicurezza?!” Continua spiegandomi che per quanto possiamo essere sicuri di noi stessi è la nostra stessa natura ad andarci contro perché tutti moriremo, eravamo polvere e torneremo polvere.

Aggiunge poi che se non riusciamo a far altro che condannare negativamente Don Giovanni, è perché siamo pervasi da una morale cristiano cattolica, che ci sospinge a cercare un senso alle nostre azioni e verso l’idea di formare una famiglia, capisco cosa sta cercando di dirmi e faccio un esempio su una diversa morale, quella greca, che si basa sul riconoscimento di quello che ciascuno di noi è, delle proprie virtù e capacità, attraverso la cui realizzazione troviamo la felicità. “Brava” mi sento dire, ho afferrato il concetto, se uno non pensa come un cristiano cattolico ed ha una cultura differente, caratterizzata da diverse filosofie, religioni, tradizioni troverà altre chiavi di lettura più o meno negative.



Certo è che, avendo fatto esperienza più o meno direttamente dei Don Giovanni contemporanei, non posso avere questa visione troppo romantica e incantata del personaggio.

Sessuologi e psicologi hanno studiato la malattia cosiddetta del “dongiovannismo”. L’ossessiva strategia di seduzione e conquista nasce non dall’amore per le donne, ma dalla paura delle stesse e del potere che sono in grado di esercitare, è un modo per proteggere se stessi, amore per se stessi quindi, profondo egoismo. Il Don Giovanni è una persona che non si abbandona mai all’amore ma vede in ogni donna conquistata la proiezione della propria presunta grandezza. Il rituale dell'amore ripetuto serve solo a esorcizzare la paura e l'insicurezza. Il Dongiovanni si contraddistingue per immaturità e incapacità di stabilire una relazione interpersonale seria e in grado di arricchire entrambe le parti. La condotta libertina fondata sulla superficialità delle parole, dei gesti e dei rapporti rischia però di causare solitudine e aridità emotiva, un senso di vuoto e una profonda amarezza lasciata in bocca dopo ogni conquista che si dissolve. E ovviamente è molto comune fra noi donne lo “spirito della crocerossina” per il quale tentiamo di salvare il Don Giovanni dalle proprie insicurezze cercando di farlo innamorare, ma comprendiamo che è una causa persa in partenza solo dopo esserci fatte male.

Giulia
Foto di Ivan

DON GIOVANNI, GIU' LA MASCHERA! Analisi buffa di un'opera buffa.

Il Don Giovanni è un'opera buffa di W. A. Mozart. Il dramma, composto da due atti di 10 scene ciascuno, è il secondo delle tre opere che egli scrisse nel 1787 sul libretto di Lorenzo Da Ponte, preceduta da Così fan tutte e seguita da Le nozze di Figaro.

La pièce è un unicum, è una miscela di elementi comici, farseschi e tragici, ed è incentrata sulla tematica filosofica del libertino, tipica della seconda metà del Settecento.

Una nuova produzione lirica di OperaFestival per l'estate 2010 che dopo il grande successo ottenuto a San Galgano si è trasferita nello scenario fiorentino del Giardino di Boboli allietando la serata del 22 luglio. Le suggestive ambientazioni en plein air, hanno richiesto la progettazione di elementi scenici componibili e scomponibili che, a seconda della posizione in cui si trovano, creano spazi e prospettive nuove.

L'allestimento è firmato dallo scenografo Giacomo Andrico, la regia “cinematografica” di Luca Verdone, i costumi sono di Micol Joanka Medda e Caterina Bottai e la direzione dell'orchestra è del M° Matteo Beltrami.

Luca Verdone ha deciso di anteriorizzare la vicenda rispetto al libretto originale per depurarlo dai vizi del teatro del periodo dei Lumi e ricollocarlo nel '600, un' epoca più cinica e in accordo con gli scenari, soprattutto con l'atmosfera mistico-ascensionale dell'Abbazia di San Galgano.

E' un'opera dai molti contrasti che vede il contrapporsi di sacro e profano, dannazione ed espiazione, mito e realtà.

Prima dell'ultima replica al Giardino di Boboli del 29 luglio vi proponiamo uno studio nuovo, un' analisi dei personaggi del Don Giovanni. L'approfondimento è stato integrato con le interviste ai cantanti. Per molti di noi era la prima opera lirica a cui assistevamo e sopratutto la prima intervista. Un lavoro emozionante che ci ha arricchito e iniziato alla musica lirica.



Redazione all'Opera

mercoledì 28 luglio 2010

CARLO MALINVERNO RACCONTA SARASTRO

Ormai mi sento una giornalista in erba! L'emozione della prima intervista mi ha dato tregua e alla prima replica de Il Flauto Magico al giardino di Boboli il 15 luglio, riesco a conoscere con facilità e senza arrossire troppo,Carlo Malinverno, basso che canta Sarastro. Sedendosi su una panca all'ombra, sembra ben contento di farsi intervistare, anche se in realtà è un espediente per riprendere fiato dal gran caldo.
Ma non gli do il tempo di respirare, che inizio a fare domande a raffica...



Cosa ne pensa del suo personaggio a livello personale ed entro il contesto dell’opera?

A livello personale riflette naturalmente quelli che sono i miei personaggi: ieratici abbastanza statici e sacerdotali. Entro il contesto dell’opera Sarastro è un personaggio un po’ surreale, colui che è il vecchio saggio, una sorta di deus ex machina. E’ pensato all’inizio come un personaggio tirannico e malvagio ma si rivela esattamente il contrario. Per il resto lo vedo esattamente come è stato scritto, Mozart non lascia molto spazio all’immaginazione tranne quella scenografica, anche se è una fiaba per bambini è stato scritto praticamente tutto ciò che descrive i personaggi.



Come si è preparato per affrontare la parte? Quali difficoltà comporta cantare in tedesco?

Avevo già studiato quest’opera all’Accademia della Scala.
Cantare in tedesco è il meno perché la parte cantata è esigua rispetto ai difficili discorsi presenti nei recitativi.



Quanto un artista può apportare di personale al proprio ruolo in un’opera lirica data la partitura musicale e il libretto prestabiliti?

Tanto perché si può far uscire un’introspezione personale più sanguigna, più ieratica, più calma che riflette sempre i propri stati d’animo, come ognuno di noi si comporta nella vita e questo attraverso l’interpretazione che è un mix di linea, di melodia, di cantato, di recitato.





Quanto riescono a imporsi il regista e il direttore d’orchestra sull’interpretazione del cantante?

Dipende da produzione a produzione, alcuni pochissimo, altri per niente, qualcuno ti blocca. Con Renato Bonajuto è stata molto libera anche perché abbiamo lavorato poco insieme dato che ero impegnato in un’altra produzione e sono arrivato a spettacolo iniziato.



Qual è secondo lei la gerarchia fra musica, gestualità e parte cantata?

La parte cantata fa parte della stessa musica, la gestualità segue al canto, ma non esiste una gerarchia rigida perché tutto va di pari passo e deve risultare armonioso, senza il bisogno di prestabilire un ordine.



Cosa ne pensa dell’interpretazione de Il Flauto Magico in chiave massonica?

Mozart era un massone, l’opera inizia con tre bemolli in chiave e il tre è un numero massonico, il bemolle maggiore è un simbolo massonico. E’ pieno di simbologie massoniche, non c’è alcun dubbio, direi che è un’opera dichiaratamente massonica.



Lei è molto giovane, è soddisfatto dei risultati raggiunti fin’ora nella carriera lirica? Quali sono i suoi progetti e le sue ambizioni per il futuro?

Sono pienamente soddisfatto, le cose che ho fatto mi sono piaciute tantissimo e per ora sento di andare nella direzione giusta. Fino al 2012 sono già impegnato nell’interpretazione di vari personaggi appartenenti al mio repertorio, anche per rimanere in linea con la mia vocalità.



Breve ma intensa...

Giulia

martedì 27 luglio 2010

TRA LACCA E FERMAGLI, INTERVISTA AL SOPRANO EVA MEI

La mia intervista si svolge poco prima del debutto del 24 luglio a San Galgano del Flauto Magico. Dietro le quinte c’è un gran fremito, sono tutti indaffarati a vestirsi e a scaldale le loro ugole. Riesco a ritagliarmi cinque minuti con Eva Mei mentre il parrucchiere le sta acconciando i capelli.

Quando ha capito di amare la musica e il canto e che questa sarebbe stata l’attività principale della sua vita.
Amo la musica da quando sono nata perché penso che non si potrebbe vivere senza, poi mia madre e mio nonno cantavano e quindi cosa avrei potuto fare nella mia vita se non cantare. Purtroppo l’ho capito un po’ tardi, avevo diciassette anni quando sono entrata a far parte di un coro polifonico ad Arezzo ed ho capito che era questo il mestiere che volevo fare.

Ha dovuto fare molti sacrifici per arrivare dove è adesso.
Se vogliamo che le cose siano fatte nel modo giusto i sacrifici sono indispensabili, un po’ come in tutti i lavori. Ma questa passione è talmente grande che ne vale la pena.

Pensa che il contesto socio - culturale del nostro paese permette ai giovani di avvicinarsi al mondo della lirica.
Domanda di riserva?(Sorride). Con grande rammarico ti dico che il nostro paese non offre molte possibilità per sviluppare questa passione e questo è triste perché la lirica fa parte della nostra tradizione, l’Italia è il paese dove è nata l’Opera.

Dunque cosa consiglierebbe ad un ragazzo che vuole seguire e sviluppare questa passione.
A malincuore gli direi di provare questo mestiere all’estero. Io stessa, come altri miei colleghi, se vogliamo lavorare dobbiamo molto spesso recarci all’estero e quindi per un giovane sarebbe molto dura. Nella musica, ma anche nell’arte in generale si è perso molto ed è un peccato perché come ho detto anche prima l’Italia dovrebbe essere anche l’Italia della cultura e dell’arte ed in questo siamo molto penalizzati.

Questa è la prima volta che collabora con OperaFestival. Che cosa pensa di questa organizzazione, l’unica a Firenze a tenere ancora in vita l’Opera lirica.
Si per me è la prima volta. Ammiro il loro lavoro perché è una organizzazione che va contro corrente e dimostra di saper tenere un buon livello in confronto con le altre Istituzioni. E per questo sono molto contenta e onorata di far parte di tutto ciò.

Grazie al suo mestiere ha potuto visitare molti paesi. C’è un luogo dove ha cantato che le è rimasto particolarmente impresso o un pubblico che l’ha colpita.
Istanbul, in Turchia. Ci ho cantato Il ratto dal serraglio due giorni fa. È un popolo fantastico che si diverte con quello che ascolta, che si ispira a tutto ciò che succede sul palcoscenico e che segue, ma soprattutto un pubblico che si diverte andando a teatro perché in fin dei conti non è forse questo lo scopo del teatro?.

Quindi lei crede che il popolo italiano sia restio a certi tipi di manifestazioni.
Non credo. L’ho notato proprio in questi giorni grazie a questo spettacolo. Il pubblico è abbastanza numeroso e caloroso, basta offrirgli prodotti di qualità perché giustamente ne a diritto.

Quale personaggio aveva già cantato nel Flauto Magico. Come si trova nei panni di Pamina.
Nel Flauto Magico avevo già cantato sia Pamina che la Regina della notte. Regina della notte possiede delle acrobazie vocali eccezionali e come personaggio ha una forte presenza scenica perché rappresenta il ruolo della madre. Pamina invece è colei che risolve la situazione portando l’uomo sulla giusta strada ed è un personaggio che adoro, non potrebbe essere altrimenti perché non salgo mai sul palco cantando un personaggio che non sento un po’ mio.

C’è o c’è stato un obiettivo che si era posta di raggiungere o qualcosa che l’ha resa particolarmente fiera di se stessa.
Io non sono mai soddisfatta di me perché aspiro sempre a migliorare e fare meglio però dopo venti anni di carriera essere ancora qui a cantare Mozart è già una cosa che mi rende più che felice.

Per concludere la nostra chiacchierata le vorrei chiedere se c’è qualcosa che ancora non ha fatto ma le piacerebbe fare.
Se fosse possibile vorrei vivere ancora altri duecento anni (ride). Sono tantissime le cose che vorrei fare anche al di fuori della lirica perché sono una persona che si interessa a qualsiasi cosa, non mi annoio mai. La vita è troppo bella per fare solo la cantante lirica, ci sono almeno altre mille cose che sono altrettanto interessanti.

SILVIA

mercoledì 21 luglio 2010

CAMBI DI SCENA E NUOVE PROSPETTIVE: LA DANZA DEI TITOLI LIRICI

A venti giorni dal termine del programma della stagione lirica, le opere hanno imparato a muoversi, come se danzassero con alterni movimenti. Di fatto il Don Giovanni ha lasciato il 17 luglio San Galgano, il luogo del suo esordio, per arrivare giovedì 22 e 29 luglio al Giardino di Boboli, con alcune variazioni negli interpreti e nell'allestimento scenografico. Infatti, il tenore Filippo Adami interpreterà Don Ottavio e Donna Anna sarà impersonata dalla soprano Alexandra Zabala, mentre i praticabili, il tavolo, le sedie, le cornici, il cimitero e il basamento della statua, poi ancora le mura, la terrazza e le scale, sono stati sapientemente trasferiti e ricomposti a Boboli tra sabato notte e domenica.


Giovedì, prima dell'inizio dello spettacolo ci sarà l'antepiano; la prova di regia senza orchestra e poi l'assestamento, una prova in cui l'orchestra regola l'acustica.
Il Flauto magico – Die Zauberflӧte – invece, a dispetto dell'altra opera mozartiana, sarà riallestito nella maestosa abbazia circestenze. Ed ammetto, che siamo curiosi di sapere come la scenografia, in particolare le innumerevoli nuvole, sarà disposta nel palco senza renderlo saturo. La prima a San Galgano avverrà sabato 24 con replica il 31 luglio.

Fanno le valige anche i Carmina Burana, il 23 luglio e il 6 agosto approderanno all'Abbazia di San Galgano. Quale migliore dimora potevano scegliere tali canti per dominare con la loro potenza evocativa? L'Abbazia, grazie alla sua struttura architettonica, feconderà il suono, creando un'acustica sublime, che incanterà l'orecchio dei più scettici.

Aspettiamo quindi di vedere se il cambio di “scena” apporterà delle modifiche anche sulla nostra percezione degli spettacoli, magari facendoci rivalutare ciò che avevamo già etichettato.



Elisa, Silvia
Foto di Ivan

LA FEBBRE DEL TANGO

Arriviamo presto al Giardino di Boboli.
Io e Maddalena pensiamo di essere le prime e, incuriosite dalla musica e dalle voci, ci avviciniamo al palcoscenico dove i ballerini stanno provando la coreografia dello spettacolo di Cinc'Otango, sotto la direzione della carismatica coppia Adrian Veredice e Alejandra Hobert.
In realtà Ivan si è già posizionato e sta documentando fotograficamente le prove.
Sul palcoscenico cinque musicisti sopraelevati che spingono alla danza le cinque coppie di ballerini.

Che buffe le prove:gli uomini in pantaloni corti e scarpette lucide ed eleganti, le donne in abbigliamento troppo sportivo per indossare scarpe rosse discretamente “fetish”.
Mentre aspettiamo l'inizio dello spettacolo, fra un'intervista al pubblico e l'altra, Maddalena è già coinvolta dal ritmo e dall'atmosfera: imita le movenze delle lunghe braccia delle ballerine e quasi rischio di prendere uno schiaffo(non è stato il solo che ho rischiato in tutta la sera presa com'era dal ballo).
Finalmente ci mettiamo anche noi a sedere, le luci si abbassano, l'esibizione ha inizio e veniamo subito presi dal furore del Tango, colori, musiche travolgenti e incalzanti, ballerini e ballerine sembrano fondersi l'uno nell'altra nella passione per la danza e volteggiano vorticosamente sul palcoscenico per una fusione di passi, di corpi, di anime.
I nostri occhi sono incollati sui fisici marmorei delle ballerine, ogni volta entrano in scena indossando un tipico abito anni '30 e '40 dagli spacchi vertiginosi e dalle tonalità sgargianti, i loro sguardi sono sensuali, i sorrisi ammiccanti.
I colori sfavillanti dei vestiti delle tanghere, magenta, azzurro, viola, bianco e rosso(ovviamente), risaltano maggiormente a contrasto con i completi neri dei compagni, che sfoggiano frack e borsalini.

I tangheri sono uomini forti, fisicamente poderosi, sollevano con una mano le compagne , le stringono, le guidano, le proteggono.
Il quintet musicale è composto da un pianoforte, un contrabbasso, la tipica fisarmonica da tango bandoneon e due violini. Cinque musicisti dall'energia e dalla potenza sonora di un'intera orchestra! Variano i ritmi e creano sonorità peculiari pizzicando e tamburellando il violino. Cerco di isolare il suono dei singoli strumenti, ma data la loro assoluta complementareità, compattezza e armonia non si rivela facile. 
In alcuni momenti musica e danza sono accompagnati da calde e sensuali voci di retroscena che enfatizzano maggiormente la carnalità della performance.
Vengono ripercorsi gli stili più conosciuti del Tango, non siamo esperti in grado di distinguerli e riconoscerli, ma capiamo come ogni coppia metta tutto il cuore e la passione nel movimento, e quindi aggiunga qualcosa di profondamente personale ad ogni passo e in ogni espressione.

Tutto finisce in fragorosi applausi che si susseguono per interi minuti, il tempo è volato e usciamo dal teatro con le ultime note ancora sulle labbra e col ritmo nelle vene che ci fa osare l'imitazione di qualche passo e il sogno di un futuro da tanghere!


Giulia
Foto di Ivan

domenica 18 luglio 2010

CINC'OTANGO: SENSUALITA' IN SCENA

Il tango è una ricetta che mescola sapori e colori diversi, una miscela di culture e tradizioni etniche, una fusione di ingredienti che si arricchiscono l’un l’altro.

Possiamo ricercare le sue radici attorno al 1820: Buenos Aires era la città dove “far fortuna”, ma non tutti ci riuscivano, così famiglie di Italiani, Spagnoli, Francesi, Ungheresi, Ebrei e Slavi, cui presto si unirono schiavi liberati e Argentini della seconda e terza generazione, provenienti dalle pampas, furono costretti dalla miseria a convivere in squallidi quartieri costruiti dal nulla, nei sobborghi della città, per amalgamarsi negli angusti vicoli. Si fusero i loro stili di vita, le tradizioni etniche e culturali, le loro vite erano intrecciate poiché condividevano lo stesso destino e le stesse speranze.
Cantavano i loro stati d’animo e i loro sentimenti. La musica divenne la consolazione degli emarginati, completata espressivamente dalla danza, che dal 1880 avremmo definito Tango.
Si combinarono la payada, un'antica forma di poesia popolare caratteristica delle feste di paese introdotta dai Gauchos, la gente della Pampa; la habanera, danza spagnola diffusasi a Cuba e portata dai marinai, che si diffonde trasformandosi però nell'andamento caratteristico e insolito di una camminata, in cui l'uomo avanza e la donna indietreggia. Questa fu la milonga allo stato embrionale, il cui nome deriva da milonguear, passare la notte alternando canto e ballo. Dal porto di Buenos Aires arriva infine il candombe, danza caratteristica dei neri, in cui le coppie ballano separate ma molto vicine, abbandonandosi a sensuali movimenti pelvici.
I primi tanghi non avevano autori, erano melodie folcloristiche e popolari che ridavano vitalità alla povera gente, una via di fuga dalle preoccupazioni della vita, un modo per svagarsi e non sentirsi soli. I testi avevano un registro gioioso e licenzioso che si alternava a toni malinconici, accompagnati da strumenti come chitarra, flauto, pianoforte e più tardi dal bandoneon, una sorta di fisarmonica. Il tango significava lotta contro la propria condizione, bramosia di una nuova libertà, emozioni intense che sgorgavano dal ballo e dalle melodie, un genere da sempre forte, brutale, passionale, che scaturiva dalle viscere degli uomini e delle donne.
Dai vicoli si spostò nelle osterie e nei bordelli oscuri di Buenos Aires. Durante il suo sviluppo era sempre più caratterizzato da audacia, sensualità, una stimolazione quasi erotica, un ballo carnale e una musica libidinosa.
Dal 1900 il tango fu ballato e ascoltato in caffè, cabaret e teatri e iniziò a diffondersi su scala internazionale, incontrando ben presto perbenisti, bigotti e religiosi che lo percepivano come qualcosa di immorale, oltraggioso, e lo definivano un ballo indecente e pagano che si scontrava con la pubblica decenza. Ma più acquisiva il sapore di un frutto proibito e più tutti volevano ballarlo, anche perché ballarlo bene era indice di mascolinità e grande efferatezza nel conquistare le donne.

Ebbene sta per arrivare nel Giardino di Boboli la compagnia argentina Otango, cinque coppie di ballerini accompagnati da uno dei migliori tango quintet che suonerà per noi piano, chitarra e bandoneon trascinandoci in un’atmosfera violentemente appassionata. Il loro spettacolo cerca di trasmettere l’essenza del tango nella sua interezza, esaltandone l’intima sensibilità e le emozioni venate di violenza.
Negli anni il tango ha subito numerose trasformazioni, la sua anima più intima e misteriosa ha spesso lasciato il posto a uno stile più eccitante, ardente, un accanimento quasi aggressivo dei partner. I ballerini di Otango sveleranno sul palcoscenico di Opera Festival l’anima di questo ballo, ripercorrendone la storia e ballando per noi al ritmo degli stili più importanti, il tango nobile, il valse, la milonga, il tango tradizionale e il tango nuevo.
Sono impaziente di vedere come cinc’Otango interpreterà un tango sempre nuovo e in continua metamorfosi, elevato oggi a forma d’arte…sicuramente a Boboli farà più caldo del solito!


Giulia

giovedì 15 luglio 2010

FORTUNA IMPERATRIX MUNDI: breve storia dei Carmina.

Martedì sera sono stati eseguiti Carmina Burana di Carl Orff, la formalità solenne della musica del prologo ha creato una sintesi dialettica con l’invocazione alla Sorte - “Oh Fortuna, Velut Luna, Status Variabilis, Semper Crescis aut Decrescis”- le atmosfere, quasi apocalittiche, delle tinte musicali hanno enfatizzato un’interessante contrapposizione con la goliardia dei testi in Latino ed in Tedesco arcaico.

I testi poetici provengono da un manoscritto del XIII sec il Codex Latinus Monacensis, che comprende 315 componimenti che sono suddivisi tra: Carmina moralia; canti satirici e morali; Carmina veris et amoris, canti d'argomento amoroso; Carmina Lusorum e Potatorum, canti bacchici e conviviali e Carmina divina, canti moralisti e sacrali.
Essi si fanno risalire ad una produzione studentesca dei goliardici Clerici Vagantes; studenti girovaghi nel Basso Medioevo, che composero tali canti parodiando e criticando l’ortodossia liturgica.


Carl Orff nel 1937 musicò alcuni brani dei Carmina Burana, con due versioni differenti una orchestrale e l'altra più intima, dove l'orchestra fu sostituita da pianoforti e percussioni, dando vita ad una cantata scenica d'immenso valore evocativo, dove le cantiones profanae venivano intonate da cori. Ma la particolarità di quest'opera è nel suo simbolismo; essa esemplifica la ciclicità attraverso la ripresa della musica del prologo nel finale. Non a caso la struttura dell'opera riprende la ruota della fortuna; allegoria dei cicli della vita. Questa capacità dialogica ha permesso una grande narrazione, priva di ogni sorta di storicismo, perché essa ha la facoltà di rimembrare il carattere aleatorio del fato umano e la precarietà delle gioie e dei dolori, tutti temi estremamente contemporanei.
Mentre ancora rifletto sulla magnificenza e sulla potenza del suono, mi è tornata in mente una citazione famosissima di Orazio «Dum loquimur fugerit invida aetas: carpe diem, quam minimum credula postero.» «Mentre parliamo il tempo, invidioso, sarà già fuggito. Cogli l'attimo, fiduciosa il meno possibile nel domani.» ed così mi dico “se ciò che ascolto fa riflettere, allora significa che è cibo per la mente.”.


Elisa
Foto di Ivan

MALIKA SPEZIA AMARA E RARA

Come poteva Caterina Caselli farsi sfuggire quello che oggi è il maggior talento nel panorama della musica leggera italiana. Malika Ayane infatti, dopo aver collaborato con Ferdinando Arnò per la colonna sonora di alcune pubblicità televisive, è stata sottoposta all’esame della talent scout la quale da subito ha visto in lei una forte personalità artistica ed uno stile senza precedenti. Dal suo album d’esordio, dal titolo Malika Ayane, viene estrapolato il brano Feeling Better che nel 2008 segna la vera e propria ascesa della Ayane nel mondo della musica italiana. Nel 2009 sale sul palco dell’Ariston tra le nuove proposte portando il brano scritto per lei dal leader dei Negramaro Giuliano Sangiorgi riscuotendo un enorme successo; forse il miglior brano di quell’anno sanremese. L’anno dopo la ritroviamo, stavolta come “Big”, di nuovo a Sanremo con Ricomincio da qui, brano che le ha fatto vincere il premio "Mia Martini" della critica.
Venerdì 16 Luglio si esibirà per il pubblico di OperaFestival all’Abbazia di San Galgano con il suo Grovigli tour. Come afferma la stessa Malika tra il primo ed il secondo album c’è differenza <Grovigli rappresenta la voglia di cambiamento e l’abbandono di una situazione per la ricerca di altro e di se stessi, tutte le tracce del disco sono diverse tra loro e quindi sono quasi un groviglio le canzoni stesse>. Quello che al pubblico piace di lei non è solo la sua voce definita da Paolo Conte “ un arancione scuro cha sa di spezia amara e rara ” ma il fatto di essere una persona umile e grata per quello che possiede, questo è quello che Malika dice di se stessa <Non sono una prima donna, forse il fatto di aver iniziato a cantare in un coro mi ha aiutato a capire lo spirito di gruppo, in questo caso il singolo lascia spazio all’insieme> continua <Sono grata e felice quando ogni mattina, dopo aver portato mia figlia all’asilo, vado a fare ciò che amo. Mi rende felice anche solo il fatto di veder scritto nella mia carta di identità professione cantante>.
Vedremo allora se Malika Ayane riuscirà a conquistare anche il nostro pubblico e a penetrare il travertino di San Galgano con le sue sonorità struggenti e barocche.



SILVIA

IL FLAUTO MAGICO, NEL BENE E NEL MALE

Martedi 6 luglio ho assistito alle prove del Flauto Magico di Mozart al Giardino di Boboli e sinceramente ero rimasta un po' perplessa, per non dire delusa.

Le prove iniziano e io non capisco nulla. Probabilmente perché l'opera è cantata in tedesco e solo i recitativi sono in italiano. Nonostante avessi letto la traduzione del libretto, continuo a non capire.

Se è vero che ci piace ciò che ci riesce fare e comprendere a me Il Flauto non piaceva.

Alla fine delle prove ho fatto una grande scoperta: il copione era partito dal secondo atto e finito con il primo.Sarà stato questo il motivo della mia incomprensione? Lo spero..e non capisco! Fatto sta che sono andata alla prima con alcuni preconcetti.

Anche la scenografia non mi aveva colpito, mi sembrava confusa e approssimata.

Quando alla prima si è aperto il sipario ho realizzato che le mie impressioni non erano del tutto errate: l'allestimento nel frattempo era stato ultimato e con la giusta illuminazione sembrava tutto più bello di come l'avevo visto la prima volta.

Il tedesco rimaneva incomprensibile, ma sono rimasta affascinata dall'estetica del palcoscenico: le simbiosi cromatiche tra le vesti, scenografia e macchine teatrali si fondevano armonicamente e le cime rocciose spuntavano dalle nuvole spumose come in un paesaggio onirico.

Lo Zauberflöte è un'opera che ha acceso la curiosità, nel bene e nel male, di tutta la Redazione.

A Silvia lo spettacolo è sembrato interminabile e i costumi indefiniti, anche se ha apprezzato la scenografia e le è piaciuta molto la voce di Scilla Cristiano, alias Pamina.

Ivan si è perso dietro le quinte e i camerini, affascinato dai cantanti, con i loro ritmi serrati, dalla sarta che li rincorre cercando di accorciare e cucire gli abiti di scena, e dai truccatori indaffarati a smistare parrucche al coro e a truccare il cast.

Giulia è rimasta un po' scontenta. Lo spettacolo secondo lei è stato troppo lungo, e i cambi di scena non erano armoniosi, sia per il cigolio delle macchine scenografiche sia per il continuum narrativo forzato.

Anche Elisa ha trovato il finale melenso, al di là di tutti i suoi significati misterici, ma è uscita canticchiando “Der Hölle Rache”, l'aria della Regina della Notte -“ cantata con autorità, con una sublime violenza vendicativa, una straordinaria vocalità, un capolavoro!”-

I nostri giudizi sono però univoci per quanto riguarda la musica e il modo in cui gli orchestrali l'hanno eseguita. Gli accenti musicali hanno scandito e animato il palcoscenico aiutandoci nella comprensione della fabula e anticipandoci i momenti di maggior phatos.

L'overtoure mi trascina in una spirale gioiosa, ossessiva, trionfante, in un climax che suggerisce l'entrata in scena del serpente e l'inizio dell'azione.

Nel complesso rimango dell'idea che è stato molto interessante assistere a questa rappresentazione e confrontare le nostre diverse impressioni: “Il modo migliore per cercare di capire il mondo è vederlo dal maggior numero possibile di angolazioni”.


Maddalena