mercoledì 17 giugno 2009

“Ho sempre cercato l’anima nelle cose non l’estetica”

Di Mitoraj come scenografo e costumista, si era già parlato ancora prima del suo debutto vero e proprio avuto lunedì 15 giugno nel giardino di Boboli.
Lui che vive di arte, ha voluto esprimersi in una nuova forma, collaborando con Opera Festival nella produzione di Aida, la famosa opera di Verdi.
“Un lavoro artistico che parla da sé”, lo ha definito l’artista Igor Mitoraj.
Mitoraj è noto per le sue maestose “ sculture in piazza”, un rapporto tra sostanza e spessore dell’opera che si contrappone alla spazialità quasi dispersiva dell’ambiente di collocazione. I suoi lavori non rappresentano tanto la bellezza figurativa in sé, quanto la bellezza che il tempo ha saputo regalare alle sue sculture, dando loro, un percorso di vecchiaia e di ruggine. “Restaurare le opere è sbagliato, sarebbe come dare una nuova vita, come non dare importanza a al tempo trascorso che si è depositato sull’opera”.







Alla conferenza del 4 giugno 2009 presso il cenacolo dell’Accademia di Firenze, aveva già mostrato le sue posizioni riguardo all’arte figurativa, definendola nel 99% scadente e poco soddisfacente e che, senza troppa presunzione, si è sempre impegnato per far parte di quel 1% restante.
“Per me è una grossa esperienza” si confida “..in studio sono
stato seguito da altre persone, attrezzisti, sarte e sceneggiatori che mi hanno aiutato in questa impresa, anche perché non è il mio mestiere. Non sono un decoratore di teatri”.
L’idea di partenza è stata quella di dare una inedita interpretazione: “Non ci saranno piramidi né maschere egizie, non ci saranno cose kitch: l’artista ha il compito, in questo senso, di accompagnare la musica con le sue opere” si pronuncia Mitoraj.
Opere insomma capaci di dare un messaggio non propriamente in funzione di Aida o almeno in parte: “le fasciature sono come gli imballaggi di un’estensione plastica; in mancanza di una vera comunicazione tra le persone. Oggi in realtà siamo tutti isolati, siamo sempre più soli, non ci sono più gli incontri, tutti forse troppo impegnati a stare davanti ai computer”.
I volti delle scultore bendate raccontano di una società quasi cieca, legata ormai dai meccanismi mediatici, elettronici, in questo senso Mitoraj definisce una cosa bella quella di incontrarsi ad un opera, e per questo a maggior ragione si può comprendere il suo impegno in questa iniziativa.
Altri artisti come ad esempio De Chirico, erano stati anche scenografi, ma come prende nota Mitoraj, questa usanza è andata persa: “tra un’ opera visiva ( scultura) ed un opera di scrittura c’è uno scarto di idee e parole”.
Dell’opera teatrale in generale, non né è mai stato affascinato, confessa : “Non mi è mai particolarmente piaciuta l’opera in generale perché ho trovato chilometri quadrati di broccati e tessuti. La musica non ha bisogno di tutto questo: da sola fa già il suo spettacolo”.
La decisione di adottare un’altra evocazione del passato, è stata proprio in funzione di fondere lo stile dell’artista con sceneggiatura e costumi, con una sobrietà fuori dagli schemi tipicamente egizi: mantenendo il contesto storico, sono stati infatti riletti in chiave classica.
“Il futuro sta nel passato” aggiungerà Igor Mitoraj, ed è in questo che si trova la novità dell’Aida riproposta da Opera festival: il nuovo attraverso il vecchio, la modernità di una rappresentazione grazie alla classicità dell’interpretazione.


Malia Zheng
Foto di Sara Giosa

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