giovedì 5 agosto 2010

NON TUTTI GLI STAGE VENGONO PER NUOCERE

Sono passati due mesi dall'inizio dello stage. Il tempo è volato!


Il 7 giugno, il primo giorno di ufficio, ero emozionata entusiasta. Un ambiente giovane, tutti che vogliono del “tu”e che rispondono alle domande e ai dubbi che vengono in mente.

Già viene sfatato il mito del classico stage in cui nessuno ti fila che aleggia fra gli studenti universitari. Purtroppo nell'Università a volte ci sono dei problemi di comunicazione, anche per chi fa Scienze della Comunicazione! Quando arriva il momento dello stage tutti impazziscono. C'è chi dice che bisogna fare una cosa, chi un'altra, chi tutte e due.

A maggio avevo finito gli esami e entro l'anno accademico dovevo avere tutti i crediti per potermi laureare. Ho iniziato a mandare curriculum, ma non avevo nessuna risposta ed ero molto demoralizzata. Mi ripetevo che la mia tendenza a rimandare gli impegni e fare le cose all'ultimo minuto non mi avrebbe portato a nulla di buono. Mi mancava solo di sentire il Punto Città del mio paese (dove si comprano i biglietti dell'autobus). Lavoro dignitosissimo ma secondo me poco formativo.

Quasi per caso e in extremis ho conosciuto Opera Festival. Il mio racconto sembra romanzato ma è andata proprio così. Sempre per ottenere CFU (maledetti crediti!) ho partecipato ad un workshop. Il titolo del seminario non mi entusiasmava “ Comunicazione di un'opera lirica”, ma durante la lezione, tenuta da Mariano, responsabile della comunicazione del Festival, mi sono appassionata. Spiegava come si costruisce il festival, come è composta la struttura organizzativa e come si comunica un evento culturale: comunicati stampa, inviti, ecc...Era interessantissimo. Ho mandato la mia richiesta dicendo che avrei voluto essere presa in considerazione per questo lavoro. E così è stato.

Ho avuto la possibilità di realizzare e gestire una redazione giornalistica, scrivere articoli, recensioni, interviste agli artisti e al pubblico, gestire i social network e il blog. Altro che biglietti del bus!

Oltretutto ho conosciuto altri ragazzi con cui mi sono confrontata e con cui si è creata una buona competizione. Ci siamo stimolati a vicenda e confrontandoci sono venute fuori delle buon idee sia per gli articoli sia per le interviste.

Per ultima cosa ma forse la più importante mi ha arricchito dal punto di vista culturale.
Le mie esperienze di teatro erano molto esigue.
Avevo partecipato solo al Bruscello, una forma di teatro popolare tradizionale, essendo mio padre direttore di un piccola compagnia della mia città, e durante il liceo alle rappresentazioni delle tragedie greche. Si innescava però lo stesso meccanismo di quando ti danno un libro da leggere per le vacanze: l'imposizione ti crea dei preconcetti sull'opera stessa. Il teatro era un continuo della didattica, più che una scelta estetica.

Oltre al Don Giovanni e al Flauto Magico, a cui ho assistito personalmente, durante le interviste ai cantanti sono emersi tanti nomi e tanti autori, che vista la mia ignoranza ho dovuto ricercare e approfondire. E' iniziata così la mia piccola cultura di musica lirica. Un approccio che avrà sicuramente un seguito. Sono curiosa di vedere la Madama Butterfly, la Boheme, Aida e tante altre (soldi permettendo, perché qui se non si inizia a lavorare il portafoglio piange!).

A proposito di lavoro. Cosa mi piacerebbe fare da grande? Lo stage mi ha dato tanti spunti. Ho chiesto a tutti i colleghi quale era il loro percorso di studi, e “Progettazione e Comunicazione di Eventi Culturali” potrebbe essere un'ottima scelta per la specialistica. Il mio corso di laurea è molto interessante ma abbonda la teoria e la tecnica è sempre di meno. Necessito quindi, per non perdere l'entusiasmo, di qualcosa che mi insegni un lavoro che mi soddisfi. Poi staremo a vedere, mille ne penso!

Ringrazio tutti per la bella esperienza e saluto chi ha letto i nostri articoli del blog!


Maddalena

mercoledì 4 agosto 2010

SAN GALGANO SI APRE ALLE STAGIONI

L’ultimo appuntamento della stagione 2010 di OperaFestival vede come protagonista uno dei concerti più suonati e richiesti dal pubblico, Le Stagioni di Antonio Vivaldi. Lo spettacolo avrà luogo sabato 7 Agosto alle ore 21,00 all’Abbazia di San Galgano, un’abbinata di grande fascino per gli amanti della musica classica, e sarà ricco di variazioni e virtuosismi. Le Stagioni fanno parte dei dodici concerti che costituiscono Il Cimitero dell’armonia e dell’invenzione op. 8, composta da Vivaldi nel 1725. Come richiama il nome stesso dell’ Opera ogni concerto si riferisce ad ognuna delle quattro stagioni, si tratta di un tipico esempio di musica a programma cioè di composizioni a carattere prettamente descrittivo.

La Primavera è un concerto in Mi maggiore per violino, archi e clavicembalo. Il violino solista rappresenta un pastore addormentato, le viole il latrato del suo cane mentre i restanti violini le foglie fruscianti degli alberi.

L’Estate, in Sol minore per violino, archi e clavicembalo, con i suoi toni accesi e violenti riflette con efficacia la carica esplosiva della stagione.

L’Autunno è un concerto in Fa maggiore per violino, archi e clavicembalo. In questa stagione viene descritta la figura del dio Bacco ed inizia con il momento della vendemmia fino ad arrivare ai martellanti ritmi che indicano il momento della caccia.

Infine l’Inverno, un concerto in Fa minore per violino ad archi. Il concerto era stato concepito da Vivaldi per essere eseguito in chiesa tant’è che i toni sono molto meno dirompenti quasi come per non voler disturbare la preghiera dei fedeli.

Per questa occasione vedremo come protagonista l’orchestra di OperaFestival con il violino solista di Lorenzo Fuoco, uno dei solisti più ammirati della sua generazione.

Oltre ad essere una musica per le orecchie, il concerto rappresenterà una sfida per gli spettatori che dovranno aguzzare tutta la loro fantasia ed immaginazione per poter vivere appieno le tinte oscure e tetre, il vento che smuove le foglie, il caldo opprimente e la tempesta delle Stagioni.


SILVIA

EMOZIONI E PENSIERI DI LUCA CANONICI

Luca Canonici canta Tamino nel Flauto Magico di Mozart, oltre a essere il direttore artistico di OperaFestival.

L'Abbazia di San Galgano si è trasformata in un set teatrale. Sul palcoscenico gli attori, convocati per le ore 18.00, si alternano per l'ultima prova. Sono senza costumi e apprendo che, per questa caratteristica, viene chiamata “prova all'italiana”.
Le vecchie celle dell' Abbazia in cui alloggiavano i monaci cistercensi si sono trasformate per l'occasione in camerini. Mi apposto davanti alla piccola porta su cui è affisso il nome di Tamino e seguo Luca Canonici, il tenore che lo interpreterà, in ogni suo movimento. Appena avrà terminato potrò fargli alcune domande durante i preparativi prima dello spettacolo.
E' arrivato il momento e mentre entra nella “cella-trucco” mi fa cenno che è il momento adatto.
Posso iniziare con l'intervista.

Sono una persona molto emotiva e se ripenso al mio primo saggio di musica ancora oggi mi viene la pelle d'oca e ricordo il TERRORE! Quindi, anche se mi trovo davanti ad un artista con un'importante carriera alle spalle sono curiosa di sapere se è emozionato oppure se l'esperienza ha placato l'ansia da palcoscenico.

“Ogni volta è come la prima volta, è una disperazione! Prima di cantare penso sempre che sarebbe stato meglio se avessi intrapreso un'altra professione”

E che cosa avrebbe fatto?

“Boh, questo non lo so, penso solo che se avessi fatto altro sarebbe stato meglio per il mio sistema nervoso. Il fine ultimo di chi sale su un palcoscenico è emozionare e per fare questo è necessario emozionarsi”


Quale è l'aspetto del suo lavoro che le piace di più e quello che considera più noioso?

“Il più noioso è la sedentarietà, cioè prova, teatro, albergo, casa, televisione, prova, ecc...Ma lo spettacolo si costruisce così, non c'è niente da fare.”

Rimango sorpresa della risposta. Avevo sempre pensato che fare la segretaria fosse un lavoro sedentario. Sicuramente come in tutti i lavori la routine si fa sentire, ma almeno viaggia molto!

Quale è la più grande soddisfazione della sua carriera?

"Ho fatto delle cose straordinarie, non perché le ho fatte io ma per la situazione. Ho cantato per la ricorrenza dei 500 anni da quando fu posta la prima pietra della Basilica di San Pietro, ho cantato dentro il Colosseo, aperto i giochi olimpici in Spagna e l'anno del Giubileo.
In Arie e duetti, un'opera di Puccini, mi sono esibito al fianco della soprano Montserrat Caballè: questa è stata una delle cose più belle che ho fatto nella mia vita.”

Il trucco è finito. Il parrucchiere fa gli auguri di circostanza. Borbottando Luca risponde che non vanno fatti. Forse preferirebbe un bel “tanta mer**!”. Infatti la tradizione vuole che l'augurio porti fortuna perchè nell'Ottocento le persone andavano in carrozza agli spettacoli teatrali. Se la rappresentazione aveva avuto successo c'erano quindi tanti cavalli e tanta.....

Ma proseguiamo con le domande.

Cosa ne pensa del personaggio di Tamino? La rappresenta vocalmente?

“Tamino è il secondo ruolo di Mozart che canto. Due vocalità completamente diverse: bassa quella del Don Ottavio nel Don Giovanni, centrale-acuta quella di Tamino. La seconda aria del Flauto fa tremare i polsi, ha un recitativo lunghissimo accompagnato dall'orchestra, musicalmente difficile da ricordare.”

Il libretto del Flauto Magico è in tedesco e solo i recitativi sono in italiano, è difficoltoso anche recitare in una lingua diversa dalla propria?

“Sono tre anni che lo canto ma a dire la verità a volte ho delle lacune. La musica di Mozart è un meccanismo bellissimo, entrarci è difficile ma suona splendido.”

Quanto è difficile creare una sintesi tra la dimensione musicale e quella gestuale/recitativa?

“Sono un cantante immediato, certe volte faccio delle cose sul palcoscenico che in studio non avevo provato. Non parlo di improvvisazione casuale, ma di naturalezza. Il pubblico mi fa molto."

Quanto c'è di Luca Canonici in Tamino?Quanto invece è imposto dal direttore d'orchestra e dal regista?

“ Tutti i ruoli vengono da un lavoro di insieme. L'impronta è data dal cantante. Quando il lavoro piace anche al Maestro e al regista è il massimo.”

Quale è il genere che preferisce interpretare?

“A me piace il genere bello!”

Purché siano fatte bene?

“Esatto! Quando c'è un'idea e non è solo per rompere gli schemi mi va bene tutto. Molte volte lo si fa senza motivo, sopratutto all'estero. Certe opere vanno preservate: non si può fare il Nabucco con i coristi vestiti da vesponi che durante la cabaletta si volgono al pubblico mostrando il di dietro. D'altronde la mozzarella e la pizza le abbiamo salvaguardate, salvaguardiamo anche l'opera!”

C'è un personaggio che non ha mai interpretato ma le piacerebbe fare?

“ Ho cantato di tutto, dall'antico al contemporaneo. Ci sono delle opere che mi piacerebbe fare ma non sono alla mia portata. Cantare in “Pagliacci”mi riempirebbe di gioia. Leoncavallo è l'ultimo musicista che nel Verismo scrive veramente bene per la voce.
Altre pagine meravigliose sono quelle di Verdi in “Un ballo in maschera”. Forse tra 10 anni potrei interpretarlo.
Ho cantato due volte “Eugenio Onegin”, un'opera straordinaria, mi piacerebbe ripetere l'esperienza.”

Magari riproporla per Operafestival?

“Pultroppo è un'opera che non ha un grande consenso di pubblico. Il festival vive della bigliettazione.”

Che cosa ne pensa del Pubblico di OperaFestival e in generale del pubblico italiano?

“E' molto esigente e il più delle volte è portato alla critica e non al piacere dello spettacolo. Si va per vedere cosa c'è che non va bene. All'estero non è così, non perché hanno la bocca buona, come diciamo noi, ma perché hanno un approccio diverso.”

E' contento del successo di pubblico delle opere di questa stagione di OperaFestival?

“Quest' anno abbiamo fatto questa nuova operazione “Il Don Giovanni”. Siamo un organismo piccolo, con tanta voglia di fare, ma siamo una goccia nel mare dei teatri.
Un bel risultato, un bel cast e penso che il pubblico abbia apprezzato tantissimo, visto i minuti di applausi che abbiamo ricevuto.”

Maddalena

giovedì 29 luglio 2010

LEI, LUI E L'ALTRO

La seduzione di Zerlina inizia con la festa del suo matrimonio, ma arrivo di Don Giovanni con il suo fido Leporello cambierà di molto l’esito della festa .Con un gesto involontario Zerlina esempio stringere il grembiule, respingere l’abbraccio di Don Giovanni,proprio questo rende lei bella e amabile, e la sua relazione con Masetto giusta e corretta. Sentire sua aria e «batti, batti» come un atto di riconciliazione un vero e proprio errore. Ma non per sfuggire alla trappola di Don Giovanni lei vede che Masetto è in collera, e non le resta altro da fare che mettere a posto le cose con lui e con se stessa. Nella sua innocenza deve essere mantenuta questa ingenuità, e proprio non capisce per nulla come mai Masetto si sia potuto arrabbiare così tanto. La riconciliazione non deve dunque avere nessun carattere di pacificazione,non appena lei vede Don Giovanni, ricomincia di nuovo, e così deve di nuovo andare e piagnucolare davanti a Masetto, e così facendo lo conforta, e lei stessa crede, alla fine, che Don Giovanni e Masetto hanno litigato Dio sa perché e che lei è quella che deve placarli entrambi. Ma Zerlina è imperturbabile, va allegramente sia a ballare con Don Giovanni, sia a confessarsi da Masetto. Lei è dappertutto, sente di essere in compagnia di quelle distinte signore e sente di essere importante proprio come una di loro, partecipa alla cattura di Don Giovanni non per punirlo di averla sedotta, ma perchè ha picchiato Masetto e per questo trova che Leporello sia altrettanto colpevole, perché anche lui ha picchiato Masetto. Zerlina non è per Don Giovanni per niente inferiore ad una qualunque altra giovane, ma qualcosa di diverso da Elvira e Anna, e a suo modo altrettanto attraente ed essenzialmente lo impegna allo stesso modo. Zerlina deve essere interpretata in modo tale da produrre in un buon spettatore una certa allegria, perché inutilmente userà  la categoria della serietà con lei, e da strappargli un sorriso, quando viene vista in relazione a Masetto, perché Zerlina essenzialmente non è né sedotta né salvata, ma continuamente nei pasticci. Il povero Masetto al contrario è continuamente schiacciato dal Nobile Don Giovanni e dalle ambiguità della sua Zerlina che ama immensamente.

Intervista a : Francesca Fedeli (ZERLINA) e Gianluca Margheri (MASETTO).

Zerlina la grande seduttrice:

Il mio personaggio è una contadina che riesce a sedurre il Don Giovanni , la sua storia ruota intorno alla seduzione, una figura che si compiace dell’ interesse che suscita di fronte al nobile e che per Zerlina questo e quasi una riscossa sociale. Si può dire che Zerlina è il personaggio più vivo rispetto alle altre due donne (donna Anna,donna Elvira), anche la tipologia delle due arie sono scritte rispettando i canoni dell’ opera seria. Il personaggio di Zerlina è un personaggio più schietto più semplice, è una contadina e allo stesso tempo anche una seduttrice, per certi aspetti ingenua, femminile, consapevole di far fare a Masetto ciò che vuole.

Masetto il testardo:

Masetto è un personaggio leggero,che lascia spazio a diverse interpretazioni, si può fare il Masetto innamorato, il Masetto incavolato, ingenuo,testardo o addirittura stupido. Avendolo interpretato un’altra volta è divertente provare ad interpretare o ricercare aspetti sempre nuovi, diversi,un po’ per fartelo piacere di più e un po’ per approfondire di più il personaggio. Ma questa volta è un Masetto piuttosto testardo ed orgoglioso, innamoratissimo di Zerlina, che purtroppo si fa schiacciare dagli eventi. Lo spettacolo è ambientato nel ‘600 e lui contadino non può mai rivolgere ad un suo superiore con un certo tipo di aggressività. Il mio Masetto mi piace farlo venire fuori come un uomo con molta frustrazione,il voler fare ma non poter fare lo costringe ad una continua ricerca della sua amata Zerlina.

Ivan
Foto di Ivan

DONNA ANNA: UNA SEDUTTRICE SEDOTTA

Donna Anna è una delle tre donne ingannate da Don Giovanni.

Tre, come le Erinni del mito greco, Aletto, Megera e Tisifone, personificazioni della Vendetta che scaturiva dai fatti di sangue.

Donna Anna, vuole vendicare il padre, il Commendatore. Donna Elvira si sente tradita e anch'essa insegue il seduttore, anche se in realtà lo vuole possedere, mentre Zerlina si finge ingannata, nonostante sia stata lei ad ingannare il marito Masetto atteggiandosi ad ingenua.

Don Giovanni è entrato nel palazzo del Commendatore e spacciandosi per Don Ottavio, il promesso sposo, tenta di violare Donna Anna la quale, una volta scoperto l'inganno, cerca di trattenere e smascherare l'impostore.

Richiamato dalle grida della figlia accorre il Commendatore che muore ferito nel duello.

Donna Anna, straziata dal dolore, fa giurare all'amato che lo punirà.

Il desiderio della protagonista di vendicare la morte del padre è un sentimento naturale, anche se, dato il suo forte temperamento, alla vendetta potrebbe provvedere da sola, senza l'ausilio di chicchessia.

Ma deve salvare le apparenze sociali e quindi chiede all'uomo di salvare il suo onore di figlia, visto che l'onore per antonomasia lo ha già perso da tempo, essendo avvezza alle visite notturne, come lei stessa ammette nel lungo recitativo “Orsai chi l'onore”.

Donna Anna è quindi una giovane appassionata nella quale l'amore è intessuto di tenerezza, inteso come un dovere e perciò rivolto al promesso Don Ottavio.

Il 4, 9, 17 luglio il ruolo di Donna Anna è interpretato dal soprano Daria Masiero, la quale ha precedentemente interpretato tutte le parti femminili dell'Opera.

Quale personaggio preferisce e quale la rappresenta di più vocalmente?

“ Cantare Zerlina non è stata una bella esperienza, un periodo particolare della mia vita di cui non ho un bel ricordo. Oltretutto non è un tipo di scrittura che va bene per la mia voce.
Psicologicamente preferisco Donna Elvira. Donna Anna è un personaggio statico, uguale per tutto il tempo dell'azione: è arrabbiata con Don Giovanni dall'inizio alla fine. Invece Donna Elvira ha il contrasto interiore delle donne innamorate: passione, rabbia, voglia di cambiare un uomo anche se questo risulta impossibile.
Musicalmente Donna Anna canta due arie meravigliose: Orsai chi l'onore, forse non una delle pagine più belle di Mozart, ma dal recitativo molto intenso e drammatico, e Non mi dire, un esempio di puro bel canto di una difficoltà mostruosa.”

Cosa ne pensa di questo Don Giovanni medievale con costumi seicenteschi?

“Il Don Giovanni è una storia così attuale che si può fare in tutti i modi e adattare a tutte le epoche, inoltre si sposa bene con l'Abbazia di San Galgano, essendo di per sé uno scenario suggestivo.”

Quanto è difficile creare una sintesi tra la dimensione musicale e quella recitativo/gestuale?

“Dipende da quanto il regista e il Direttore d'Orchestra si impongono sulle tue scelte musicali.
In questo caso il regista Luca Verdone e il M° Beltrami sono stati molto intelligenti in quanto hanno lasciato carta bianca. Ci sono dei punti musicali stabiliti, ma sul recitativo ho potuto dare libero sfogo alla mia interpretazione e seguire quello che sentivo dentro.”

Come si è preparata per affrontare la parte?

“Dipende dal personaggio; di solito inizio con l'ascoltare tutta la musica e individuo i punti di maggiore difficoltà, poi prendo il libretto, sottolineo tutta la mia parte e la studio musicalmente. Da quel momento inizio ad essere il personaggio. Molti mi riconoscono questa qualità, di diventare ciò che sto cantando, e di non essere solo una riproduttrice di note.”

C'è un personaggio a cui lei è particolarmente affezionata e uno che vorrebbe interpretare?

“Sono una cantante passionale, una cantante pucciniana. Forse il personaggio che mi rappresenta di più è la Mimì (Boheme). Un ruolo che amo musicalmente è la regina Elisabetta del Don Carlo (Verdi). Mi avevano proposto la Madama Butterfly. E' stato difficile rifiutare, ma non mi sentivo pronta per affrontare questo ruolo così importante e avrei potuto danneggiare la mia carriera. Spero che ci sia un'altra occasione.”

Sono sicura che un'altra possibilità arriverà presto. Prima di entrare nel camerino e di incontrare il soprano ero molto emozionata. Mi sono trovata di fronte una donna sensibile e disponibile. Con la sua voce dolce e delicata mi ha subito messo a mio agio. Sono uscita elettrizzata e con la certezza che porterò sempre nel cuore la mia prima intervista!

Un saluto e un ringraziamento speciale a Daria Masiero.

Maddalena
Foto di Ivan

QUANDO SI DICE CHE UNA DONNA HA LO SPIRITO DELLA "CROCEROSSINA"

Mozart era veramente un personaggio estroso e pieno di talento e credo che ciò fosse chiaro a tutti coloro che lo conoscevano sia come persona che come musicista. E non ha potuto non dimostrarlo anche in una delle sue più celebri opere, Il Don Giovanni. Uno dei personaggi a cui il compositore ha voluto far il dono di essere il più incoerente, inverosimile e talmente buono da stuccare è quello di Donna Elvira, amante umiliata e tradita di Don Giovanni. Ella, dopo essersi innamorata di lui, viene abbandonata e così, furente e ferita nell’orgoglio ma soprattutto nell’animo, decide di perseguitarlo per smascherare la sua natura di traditore e bugiardo di fronte a tutti. Essa vive in modo drammatico il tradimento e il fatto di essere stata lasciata e tradita le fa perdere il senno e il controllo di se stessa, si erge a “paladina della giustizia” in difesa di tutte le vittime del Dissoluto. Inizialmente si mostra come una donna forte e determinata nel voler a tutti i costi vendicarsi del torto subito tanto da definirla un “angelo sterminatore” (L. Verdone). Quello che invece essa incarnava per Mozart era una forma terrestre del principio dell’Agape ossia una forma di amore fraterno e disinteressato che di fatti la condurrà nel finale a mutare completamente il suo comportamento trasformando la sua rabbia verso il Dissoluto in un sentimento di pietà e compassione. Mozart ha conferito ad una donna, cosa non ordinaria per l’epoca, la qualità di redentrice, perché credeva nella perfettibilità umana e anche se Elvira non raggiunge concretamente il suo scopo, nell’ultima parte del dramma, si fa rappresentante umana del Diritto naturale, in contrasto con l’azione della Giustizia Divina che invece è rappresentata dal Commendatore. Quello di Donna Elvira è di fatti l’unico personaggio che subisce un profondo cambiamento perché è la sola ad aver fatto della compassione un principio attivo e personale ed è animata da un sentimento che la spinge a proteggere gli altri da azioni che li potrebbero condannare all’eterna dannazione. Ma quale donna tradita ed abbandonata spererebbe nella redenzione e nella salvezza per l’uomo che l’ha ferita? Per questo, tale personaggio appare fasullo e molto costruito, da donna forte come pareva inizialmente Elvira diventa debole, una donna senza carattere che si fa calpestare da un uomo che non l’ama e non l’amerà mai, una donna senza un minimo di orgoglio e amor proprio che dopo aver subito una beffa del genere continua imperterrita a perseguitare Don Giovanni in giro per il mondo, non proprio un comportamento da donna di classe.


Elvira, interpretata dal soprano Debora Beronesi, una donna da una forte personalità, carismatica, sicura di sé che possiede ben pochi tratti in comuni con il personaggio che va a cantare, viene definita da essa la classica donna dallo spirito della crocerossina. Per la Beronesi essa incarna quella capacità tutta femminile di dedicarsi all’amore in modo incondizionato, una donna che fino alla fine fa di tutto per “salvare” l’uomo amato dai suoi sbagli e di cambiare il suo essere. Essa dice del suo personaggio < Il carattere di Elvira è stato a mio parere molto estremizzato se pensiamo anche all’epoca in cui è stata composta l’opera. Capisco però il suo comportamento perché in noi donne esiste lo spirito della crocerossina ma personalmente non mi comporterei mai come il mio personaggio, una vera signora non correrebbe mai dietro all’uomo che l’ha abbandonata >.

Credo che a questo punto sia giusto rivolgermi a voi, Donne. Non sappiamo che cosa avesse in mente Mozart quando un giorno svegliandosi decise di dare vita a Donna Elvira. Posso solo dire che grazie alla sua Opera ho potuto vedere che cosa è capace di fare una donna per amore ma anche a quali livelli si può abbassare. Le donne che ci hanno preceduto nella storia hanno lottato per noi, per il nostro futuro, per farci capire che non dobbiamo essere per forza delle mogli e delle mamme per essere realizzate e orgogliose di noi stesse e soprattutto, cosa più fondamentale, che non ci serve di certo un uomo per essere ciò che vogliamo. Quindi a tutte le Elvire in ascolto, credete in voi stesse e se il vostro lui vi sfugge di mano non perdete tempo a rincorrerlo, non sa quello che si perde.

Silvia

LEPORELLO, SERVO DI DON GIOVANNI?

Il suo ruolo nell'opera buffa sopravviene questa denotazione, assumendo una funzione di mediatore tra i livelli di lettura della rappresentazione. Difatti egli è il tramite tra il centro della dimensione d'azione drammatica di Don Giovanni e le altre che ineriscono tale livello con ambivalenza emotiva, che vive dell'antinomia tra l'attrazione e l'ostinato biasimo verso la figura del protagonista.


Non a caso anche le dinamiche tra Don Giovanni e Leporello agiscono nella contraddizione che costantemente risorge fra il disgusto per la vita da briccone, che il padron conduce e la sua inconfessata ammirazione per lui, anzi in certi momenti il suo identificarsi con lui.

Cosa che non è detta dal libretto di Da Ponte, ma dalla musica. Tanto è vero che Leporello nell'aria del catalogo, in tono celebrativo ed entusiasta, sciorina a Donna Elvira tutte le conquiste avute nei vari paesi; in Spagna 1300.

Un altra considerazione del rapporto tra Don Giovanni e Leporello è che quest'ultimo svolge alle volte una funzione di coscienza del padrone come appare dalla II scena del I atto, dopo l'omicidio del Commendatore, il servo condanna l'eccesso, scatenando una secca replica: “L'ha voluto: suo danno” e quando Leporello ribatte: “Ma Donn'Anna cosa ha voluto?” egli reagisce incollerito con un “Taci, non mi seccar!”. E' la coscienza che va placata.

Un'aspetto del personaggio che ricorre spesso è la sua ironica viltà, non si tratta di un ortodossa codardia, ma aberra il rischio in ogni sua forma; quando il pericolo si conforma nel fenomeno del duello tra il suo padrone e il Commendatore nella prima scena del I atto, teme “che il malandrino lo farà precipitar”; o quando accetta, suo malgrado, di indossare i panni di Don Giovanni, poi smascherato nella scena VIII del II atto, si appella al pathos e al logos dei degli altri personaggi per aver salva la vita, esclamando: “Ah pietà di me!”(...)“Il padron con prepotenza l'innocenza mi rubò.”. Ma soprattuto indicativo di questa sua idiosincrasia al rischio è il fatto che Leporello alla morte di Don Giovanni vada “a l'osteria a trovar padron miglior.”, egli non sembra capace né di una scelta autonoma, né di responsabilità e per questo sottostà sempre e solo all'altrui benevolenza o malevolenza.

Quest'ultima scena è stata tagliata dalla regia di Luca Verdone in accordo con l'estetica romantica dell'ottocento, per rendere i personaggi prossimi all'esperienza legata alle influenze del titanismo, dove l'anima sofferente consuma la vitalità fino alla morte consapevole da egli cercata; è l'equilibrio che si ristabilisce, dopo la violazione della legge umana, morale o divina, che sia connessa a peccati o misfatti.

L'interprete di Leporello, Ugo Guagliardo pensa a riguardo:“Don Giovanni è un anima in pena, secondo me rappresenta l'uomo che tende sempre a qualcosa di altro, è proprio quella tensione verso la ricerca che lo reca insoddisfatto della conquista in sé e questo è il motivo per il quale nessuna donna può riuscire ad appagarlo.

Leporello è divertente, ma non è un personaggio buffo, è riduttivo considerarlo tale, anche perché ha una tale maturità e complessità, proveniente dalla concezione che Mozart e Da Ponte hanno fatto, per le note e le parole che canta.”


Elisa
Foto di Ivan

IUS VITA NECISQUE: DIRITTO DI VITA O DI MORTE

Il Commendatore, padre di Donna Anna, è l'antagonista diretto di Don Giovanni.

Mentre tutti gli altri attori si definiscono confrontandosi con il protagonista, il Commendatore è l'unico che non subisce il fascino che emana il seduttore.

Morto, diventa statua e torna a essere personaggio nella scena quindicesima del secondo atto: “Di rider finirai pria dell'Aurora!”.

A lui viene affidato il compito del vendicatore. La statua chiede il pentimento di Don Giovanni e al suo sprezzante rifiuto, con la sua mano gelida, lo trascina all'inferno.

L'apparizione della Statua sembra un deus ex machina, che viene calato in scena per punire i vizi e la scelleratezza umana. Il verdetto del Commendatore è un giudizio divino, la statua è la personificazione della “qualitas” etica.

Anche se appare solo in poche battute, il suo ruolo è estremamente importante. Detta infatti l'inizio e la fine dell'azione. Lui, essendo stato ucciso, è l'unico che può decretare la morte di Don Giovanni.

Ma lo scontro non da né vincitori né vinti, non conosce catarsi: Don Giovanni viene dannato ma il suo fascino rimane intatto.

Prima delle prove per la ripresa del Don Giovanni al Giardino di Boboli( 22 luglio) incontro il basso Abramo Rosalen, che molto gentilmente risponde ad alcune domande a proposito della parte da lui interpretata, il Commendatore, e della sua carriera.


Lei è diplomato in organo e composizione organistica, come si è avvicinato al canto e alla musica lirica?

“Mi sono diplomato nel '96 al conservatorio di Trieste, ma parallelamente avevo sviluppato una forte passione per il canto. L'approccio con il canto è stato corale, cantavo in un coro, dove per altro, come spesso succede, ho conosciuto mia moglie - sorride dolcemente e osserva la fede – Poi i direttori del coro, notando la mia voce, mi hanno consigliato di studiare canto, così ho deciso di finire velocemente gli studi di musica e seguire il suggerimento.”

Cosa ne pensa di questo allestimento del Don Giovanni?

“ E' una rappresentazione tradizionale, mi piace molto. Non sono contrario alle versioni moderne, purché siano fatte bene.”


Non è la prima volta che recita nei panni del Commendatore. E' un personaggio che la rappresenta vocalmente?

“Ho interpretato anche Leporello, ma mai in posti così “prestigiosi”, perché è un personaggio difficile: bisogna essere scenicamente dinamici e vocalmente “sprintosi”.Invece il Commendatore, nonostante sia un personaggio fermo, che appare poco in scena, richiede una vocalità imponente. E' anche un ruolo rischioso, perché canta poco e per quel poco che canta il pubblico si aspetta che lo faccia molto bene.”

Quale genere preferisce interpretare?

“ Inizialmente cantavo musica sacra , poi mi sono avvicinato alla musica barocca. Nel 2002 ho debuttato alla Biennale di Venezia in un'opera contemporanea, “Big Bang Circus”, di Claudio Ambrosini, un artista molto conosciuto all'estero. E' stata un'esperienza molto bella e importante, essendo la musica contemporanea di difficile esecuzione. Quest'anno mi sono avvicinato al repertorio tradizionale italiano: Verdi e i suoi personaggi iniziano ad appassionarmi.”

Quali ruoli le piacerebbe interpretare?

“ Beh, sempre a proposito del repertorio di Verdi mi affascinano i grandi ruoli di Fiesco, in Simon Boccanegra, Banco nel Macbeth, Filippo II nel Don Carlo. Sarebbe molto bello interpretare Procida nei Vespri Siciliani, un'opera di Verdi in cui non ha mai debuttato.”


La breve intervista finisce qui, con tanti ringraziamenti per la disponibilità e gli auguri reciproci per la realizzazione dei progetti futuri.

In bocca al lupo a noi!


Maddalena

DON GIOVANNI: UN CONTRASTO DI OTTICHE

La caratterizzazione psicologica dei personaggi, è parte integrante del capolavoro di Mozart e Da Ponte.

Don Giovanni, il protagonista dell’opera, è sicuramente la creazione psicologica più affascinante dell'opera, incompiuta ma allo stesso tempo unificante e dalla quale dipendono tutti gli altri personaggi.


Don Giovanni è un ricco nobile votato all’edonismo, esalta ogni tipo di ricchezza materiale: lusso, vino, cibo ma prima di tutto adora le donne. Egli sente il loro odore, ama tutto l’universo femminile e cerca di sedurre ognuna, che siano “contadine, cameriere, cittadine” o “contesse, baronesse, marchesane, principesse” “d’ogni grado, d’ogni forma e d’ogni età”. Cosa sia per Don Giovanni la passione per le donne è esplicito in diverse frasi del libretto “le donne son necessarie più del pane che mangio, più dell’aria che spiro!” “E’ tutto amore: chi a una sola è fedele con tutte l’altre è crudele. Io che in me sento si esteso sentimento, vo’ bene a tutte quante.”

Ma il suo obiettivo non è quello di possederle fisicamente ed esteticamente, quanto di sedurle psichicamente, così come plagia gli altri personaggi ed il pubblico.

Il suo è un fascino brutale che fa strage in ogni cuore, che macchina costantemente inganni. Don Giovanni sembra davvero amare, è davvero infuocato dall’ardore per le sue donne e alterna la passionalità bollente alla sensualità delicata. Ed è proprio questo che gli riesce meglio, l’essere camaleontico, saper sempre con che maschera mostrarsi e a chi, e non solo in senso figurato data la nota predilezione del nobile per il travestimento e la frode.

Vive in un eterno presente durante il quale va alla ricerca forsennata di piaceri sempre nuovi e tenta di conquistare l’attimo fuggente.

E’ ossessionato dai divertimenti: rincorre le donne, organizza cene, feste e balli nel suo palazzo, è attratto dai convivi, dalla musica e dall’opulenza.

Per lui tutto è una burla, si prende gioco di tutto e di tutti, rifugge la realtà e pretende di violare il rispetto di ogni persona e di ogni norma a suo piacimento.

E’ un essere bestiale più che umano, tutta la sua esistenza è prettamente determinata dai sensi, non s’interroga sulle conseguenze delle sue azioni, è vuoto di sentimenti e infastidito dai troppi pensieri.

Egli vive viaggiando, capitando in situazioni imprevedibili, incontrando donne in ogni dove. Questa è la sua caratteristica essenziale, il movimento costante, il perpetuum mobile.

Mozart e Da Ponte fanno del tempo un concetto basilare del mito: Don Giovanni è privo di ricordi e di progetti, quindi non ha un passato né un futuro, ciò che è duraturo è per lui di vana importanza. E’ un personaggio ossessionato dalla rapidità, come ci spinge a immaginare la musica incalzante durante le sue arie e i ricorrenti “orsù” “presto” “non perdiam tempo” del libretto.

La sua frenesia, vitalità, eccitazione dissennate sono travolgenti. E’ una creatura che traduce immediatamente il pensiero in azione. Un animale che impazzisce correndo su e giù in una sorta di gabbia ritmica. Procede attraverso una perseverante fuga e si nutre di esperienze al limite, è connotato da un’irrequietezza violenta perché infinitamente tesa.

L’assidua volontà di realizzare ciascun istinto lo sospinge fino a travalicare ogni tipo di limite, ma non gli basta il compimento, perché il suo vitalismo e la sua sovreccitazione si nutrono e si autoalimentano del dinamismo stesso e della ricerca spasmodica dell’emozione del possesso.

E’ un personaggio anticonformista e ribelle, che sfida apertamente le convenzioni sociali, è fuori da ogni ordinamento etico precostituito e da ogni schema moralmente riconosciuto e apprezzabile. Agisce trasgredendo le regole perché è inconsapevole che ne esistano, e quando ne viene a conoscenza non se ne cura affatto.

A causa della sua dissolutezza e immoralità provoca in ognuno un sentimento di violenta riprovazione, e viene considerato un tabù da emarginare e distruggere.

Ma al tempo stesso il mondo di Don Giovanni attrae inevitabilmente nella sua orbita tutte le persone che incontra, che in molti casi sono diverse da lui e da lui si ritraggono, non perché siano del tutto moralmente integre, ma perché pervase da scrupoli con i quali celano la volontà di abbandonarsi a passioni illecite. E’ un’inconsapevole calamita da cui tutti sono fatalmente attratti e propulsore ignaro dell’agire altrui.

Il protagonista è presente dall’inizio alla fine dell’opera , ne è la componente uniformante, è sempre in scena se non fisicamente nelle parole, nei desideri, nei sentimenti dei personaggi, per ognuno dei quali rappresenta la principale fonte di turbamento. Figure che gli chiedono di condividere le norme morali e sociali, e le personali inclinazioni e aspirazioni sentimentali, e alle quali lui si nega.

Don Giovanni non si sente responsabile delle conseguenze dei suoi atti perché abbandona tutto nell’istante successivo all’averlo afferrato. Non vuole rifuggire le proprie contraddizioni: non sa risolvere il contrasto tra la sua ontologica insicurezza interiore e la sua apparente forza esteriore.

Si rifiuta con fermezza di cambiare. Rimane integro solo con se stesso: non si pente e non cerca redenzione per la sua malafede. Nega fino all’ultimo la condivisione delle regole e dell’integrità, persino di fronte alla morte si rifiuta di espiare le proprie colpe. Rimane perfettamente coerente con se stesso e con il proprio dinamismo, anche nello slancio finale con cui stringe la mano al Commendatore, venuto dall’oltretomba per confinarlo negli inferi.

Così, dopo aver negato ogni richiesta, dopo l’estrema e fatale ribellione, quali appellativi migliori di “empio traditore” e “dissoluto punito”?!

Eppure, dobbiamo fare i conti con il contesto storico-culturale in cui è stato scritto: nel secolo dei Lumi. Ci renderemo conto, che in quest’ottica, Don Giovanni è soprattutto simbolo del mutamento di quell’epoca: la religione fu contrastata attraverso l’esaltazione di quei valori da essa non riconosciuti; furono celebrate la ragione, la curiosità e le scoperte; tornò con forza inaudita l’idea che la storia dell’uomo è un continuo progresso verso nuove forme di vita e organizzazione sociale, determinate dall’uomo stesso.

 

Intervistando Alvaro Lozano Gutierrez, il baritono che canta Don Giovanni, mi confessa che questo è il ruolo che su tutti più si avvicina alla sua personalità.

Non sopporta la banalità cui spesso è soggetta la sua interpretazione: un donnaiolo libertino destinato ad essere punito con l’inferno.

Per lui Don Giovanni è un personaggio che va oltre, che si è stancato della mediocrità della vita, che tende sempre verso l’inesplorato e a nuove avventure. Alvaro mi fa un esempio molto efficace di questo: quando Don Giovanni si trova dinanzi il convitato di pietra, più che la paura rimbalzano in lui lo stupore e la curiosità di scoprire “cosa succederà ora?” E’ una persona stanca e infastidita dalla banalità dell’essere umano, che sa di essere sporco e insincero ma si cela dietro un velo di bigottismo. E’ stufo anche della banalità dell’amore, perché le donne fingono di non capire le sue reali intenzioni, così si diverte a giocarci.

Alvaro ha definito il suo personaggio “uno a cui gli sta piccolo il mondo”, “un cervellone”, “uno studioso”, “un chimico pazzo” finendo col paragonarlo per genialità e rincorsa alla scoperta al dottor Frankenstein.

Ma Don Giovanni non si sentirà mai contento né compiuto qualsiasi cosa faccia, è un eterno insoddisfatto, un po’ come lui, che insegue il suo apice pur sapendo che non sarà mai abbastanza in alto da appagarlo.

Chiedo al mio interlocutore se è consapevole che il dongiovannismo è una malattia per la quale la parvente forza esteriore nasconde uno stato patologico di insicurezza, e Alvaro mi risponde che proprio l’insicurezza è alla base di tutto: “siamo su una gigantesca palla, che gira intorno ad un’altra palla gigantesca, e contemporaneamente gira attorno a se stessa a milioni di kilometri orari, più veloce della luce, e tu vuoi una sicurezza?!” Continua spiegandomi che per quanto possiamo essere sicuri di noi stessi è la nostra stessa natura ad andarci contro perché tutti moriremo, eravamo polvere e torneremo polvere.

Aggiunge poi che se non riusciamo a far altro che condannare negativamente Don Giovanni, è perché siamo pervasi da una morale cristiano cattolica, che ci sospinge a cercare un senso alle nostre azioni e verso l’idea di formare una famiglia, capisco cosa sta cercando di dirmi e faccio un esempio su una diversa morale, quella greca, che si basa sul riconoscimento di quello che ciascuno di noi è, delle proprie virtù e capacità, attraverso la cui realizzazione troviamo la felicità. “Brava” mi sento dire, ho afferrato il concetto, se uno non pensa come un cristiano cattolico ed ha una cultura differente, caratterizzata da diverse filosofie, religioni, tradizioni troverà altre chiavi di lettura più o meno negative.



Certo è che, avendo fatto esperienza più o meno direttamente dei Don Giovanni contemporanei, non posso avere questa visione troppo romantica e incantata del personaggio.

Sessuologi e psicologi hanno studiato la malattia cosiddetta del “dongiovannismo”. L’ossessiva strategia di seduzione e conquista nasce non dall’amore per le donne, ma dalla paura delle stesse e del potere che sono in grado di esercitare, è un modo per proteggere se stessi, amore per se stessi quindi, profondo egoismo. Il Don Giovanni è una persona che non si abbandona mai all’amore ma vede in ogni donna conquistata la proiezione della propria presunta grandezza. Il rituale dell'amore ripetuto serve solo a esorcizzare la paura e l'insicurezza. Il Dongiovanni si contraddistingue per immaturità e incapacità di stabilire una relazione interpersonale seria e in grado di arricchire entrambe le parti. La condotta libertina fondata sulla superficialità delle parole, dei gesti e dei rapporti rischia però di causare solitudine e aridità emotiva, un senso di vuoto e una profonda amarezza lasciata in bocca dopo ogni conquista che si dissolve. E ovviamente è molto comune fra noi donne lo “spirito della crocerossina” per il quale tentiamo di salvare il Don Giovanni dalle proprie insicurezze cercando di farlo innamorare, ma comprendiamo che è una causa persa in partenza solo dopo esserci fatte male.

Giulia
Foto di Ivan

DON GIOVANNI, GIU' LA MASCHERA! Analisi buffa di un'opera buffa.

Il Don Giovanni è un'opera buffa di W. A. Mozart. Il dramma, composto da due atti di 10 scene ciascuno, è il secondo delle tre opere che egli scrisse nel 1787 sul libretto di Lorenzo Da Ponte, preceduta da Così fan tutte e seguita da Le nozze di Figaro.

La pièce è un unicum, è una miscela di elementi comici, farseschi e tragici, ed è incentrata sulla tematica filosofica del libertino, tipica della seconda metà del Settecento.

Una nuova produzione lirica di OperaFestival per l'estate 2010 che dopo il grande successo ottenuto a San Galgano si è trasferita nello scenario fiorentino del Giardino di Boboli allietando la serata del 22 luglio. Le suggestive ambientazioni en plein air, hanno richiesto la progettazione di elementi scenici componibili e scomponibili che, a seconda della posizione in cui si trovano, creano spazi e prospettive nuove.

L'allestimento è firmato dallo scenografo Giacomo Andrico, la regia “cinematografica” di Luca Verdone, i costumi sono di Micol Joanka Medda e Caterina Bottai e la direzione dell'orchestra è del M° Matteo Beltrami.

Luca Verdone ha deciso di anteriorizzare la vicenda rispetto al libretto originale per depurarlo dai vizi del teatro del periodo dei Lumi e ricollocarlo nel '600, un' epoca più cinica e in accordo con gli scenari, soprattutto con l'atmosfera mistico-ascensionale dell'Abbazia di San Galgano.

E' un'opera dai molti contrasti che vede il contrapporsi di sacro e profano, dannazione ed espiazione, mito e realtà.

Prima dell'ultima replica al Giardino di Boboli del 29 luglio vi proponiamo uno studio nuovo, un' analisi dei personaggi del Don Giovanni. L'approfondimento è stato integrato con le interviste ai cantanti. Per molti di noi era la prima opera lirica a cui assistevamo e sopratutto la prima intervista. Un lavoro emozionante che ci ha arricchito e iniziato alla musica lirica.



Redazione all'Opera

mercoledì 28 luglio 2010

CARLO MALINVERNO RACCONTA SARASTRO

Ormai mi sento una giornalista in erba! L'emozione della prima intervista mi ha dato tregua e alla prima replica de Il Flauto Magico al giardino di Boboli il 15 luglio, riesco a conoscere con facilità e senza arrossire troppo,Carlo Malinverno, basso che canta Sarastro. Sedendosi su una panca all'ombra, sembra ben contento di farsi intervistare, anche se in realtà è un espediente per riprendere fiato dal gran caldo.
Ma non gli do il tempo di respirare, che inizio a fare domande a raffica...



Cosa ne pensa del suo personaggio a livello personale ed entro il contesto dell’opera?

A livello personale riflette naturalmente quelli che sono i miei personaggi: ieratici abbastanza statici e sacerdotali. Entro il contesto dell’opera Sarastro è un personaggio un po’ surreale, colui che è il vecchio saggio, una sorta di deus ex machina. E’ pensato all’inizio come un personaggio tirannico e malvagio ma si rivela esattamente il contrario. Per il resto lo vedo esattamente come è stato scritto, Mozart non lascia molto spazio all’immaginazione tranne quella scenografica, anche se è una fiaba per bambini è stato scritto praticamente tutto ciò che descrive i personaggi.



Come si è preparato per affrontare la parte? Quali difficoltà comporta cantare in tedesco?

Avevo già studiato quest’opera all’Accademia della Scala.
Cantare in tedesco è il meno perché la parte cantata è esigua rispetto ai difficili discorsi presenti nei recitativi.



Quanto un artista può apportare di personale al proprio ruolo in un’opera lirica data la partitura musicale e il libretto prestabiliti?

Tanto perché si può far uscire un’introspezione personale più sanguigna, più ieratica, più calma che riflette sempre i propri stati d’animo, come ognuno di noi si comporta nella vita e questo attraverso l’interpretazione che è un mix di linea, di melodia, di cantato, di recitato.





Quanto riescono a imporsi il regista e il direttore d’orchestra sull’interpretazione del cantante?

Dipende da produzione a produzione, alcuni pochissimo, altri per niente, qualcuno ti blocca. Con Renato Bonajuto è stata molto libera anche perché abbiamo lavorato poco insieme dato che ero impegnato in un’altra produzione e sono arrivato a spettacolo iniziato.



Qual è secondo lei la gerarchia fra musica, gestualità e parte cantata?

La parte cantata fa parte della stessa musica, la gestualità segue al canto, ma non esiste una gerarchia rigida perché tutto va di pari passo e deve risultare armonioso, senza il bisogno di prestabilire un ordine.



Cosa ne pensa dell’interpretazione de Il Flauto Magico in chiave massonica?

Mozart era un massone, l’opera inizia con tre bemolli in chiave e il tre è un numero massonico, il bemolle maggiore è un simbolo massonico. E’ pieno di simbologie massoniche, non c’è alcun dubbio, direi che è un’opera dichiaratamente massonica.



Lei è molto giovane, è soddisfatto dei risultati raggiunti fin’ora nella carriera lirica? Quali sono i suoi progetti e le sue ambizioni per il futuro?

Sono pienamente soddisfatto, le cose che ho fatto mi sono piaciute tantissimo e per ora sento di andare nella direzione giusta. Fino al 2012 sono già impegnato nell’interpretazione di vari personaggi appartenenti al mio repertorio, anche per rimanere in linea con la mia vocalità.



Breve ma intensa...

Giulia

martedì 27 luglio 2010

TRA LACCA E FERMAGLI, INTERVISTA AL SOPRANO EVA MEI

La mia intervista si svolge poco prima del debutto del 24 luglio a San Galgano del Flauto Magico. Dietro le quinte c’è un gran fremito, sono tutti indaffarati a vestirsi e a scaldale le loro ugole. Riesco a ritagliarmi cinque minuti con Eva Mei mentre il parrucchiere le sta acconciando i capelli.

Quando ha capito di amare la musica e il canto e che questa sarebbe stata l’attività principale della sua vita.
Amo la musica da quando sono nata perché penso che non si potrebbe vivere senza, poi mia madre e mio nonno cantavano e quindi cosa avrei potuto fare nella mia vita se non cantare. Purtroppo l’ho capito un po’ tardi, avevo diciassette anni quando sono entrata a far parte di un coro polifonico ad Arezzo ed ho capito che era questo il mestiere che volevo fare.

Ha dovuto fare molti sacrifici per arrivare dove è adesso.
Se vogliamo che le cose siano fatte nel modo giusto i sacrifici sono indispensabili, un po’ come in tutti i lavori. Ma questa passione è talmente grande che ne vale la pena.

Pensa che il contesto socio - culturale del nostro paese permette ai giovani di avvicinarsi al mondo della lirica.
Domanda di riserva?(Sorride). Con grande rammarico ti dico che il nostro paese non offre molte possibilità per sviluppare questa passione e questo è triste perché la lirica fa parte della nostra tradizione, l’Italia è il paese dove è nata l’Opera.

Dunque cosa consiglierebbe ad un ragazzo che vuole seguire e sviluppare questa passione.
A malincuore gli direi di provare questo mestiere all’estero. Io stessa, come altri miei colleghi, se vogliamo lavorare dobbiamo molto spesso recarci all’estero e quindi per un giovane sarebbe molto dura. Nella musica, ma anche nell’arte in generale si è perso molto ed è un peccato perché come ho detto anche prima l’Italia dovrebbe essere anche l’Italia della cultura e dell’arte ed in questo siamo molto penalizzati.

Questa è la prima volta che collabora con OperaFestival. Che cosa pensa di questa organizzazione, l’unica a Firenze a tenere ancora in vita l’Opera lirica.
Si per me è la prima volta. Ammiro il loro lavoro perché è una organizzazione che va contro corrente e dimostra di saper tenere un buon livello in confronto con le altre Istituzioni. E per questo sono molto contenta e onorata di far parte di tutto ciò.

Grazie al suo mestiere ha potuto visitare molti paesi. C’è un luogo dove ha cantato che le è rimasto particolarmente impresso o un pubblico che l’ha colpita.
Istanbul, in Turchia. Ci ho cantato Il ratto dal serraglio due giorni fa. È un popolo fantastico che si diverte con quello che ascolta, che si ispira a tutto ciò che succede sul palcoscenico e che segue, ma soprattutto un pubblico che si diverte andando a teatro perché in fin dei conti non è forse questo lo scopo del teatro?.

Quindi lei crede che il popolo italiano sia restio a certi tipi di manifestazioni.
Non credo. L’ho notato proprio in questi giorni grazie a questo spettacolo. Il pubblico è abbastanza numeroso e caloroso, basta offrirgli prodotti di qualità perché giustamente ne a diritto.

Quale personaggio aveva già cantato nel Flauto Magico. Come si trova nei panni di Pamina.
Nel Flauto Magico avevo già cantato sia Pamina che la Regina della notte. Regina della notte possiede delle acrobazie vocali eccezionali e come personaggio ha una forte presenza scenica perché rappresenta il ruolo della madre. Pamina invece è colei che risolve la situazione portando l’uomo sulla giusta strada ed è un personaggio che adoro, non potrebbe essere altrimenti perché non salgo mai sul palco cantando un personaggio che non sento un po’ mio.

C’è o c’è stato un obiettivo che si era posta di raggiungere o qualcosa che l’ha resa particolarmente fiera di se stessa.
Io non sono mai soddisfatta di me perché aspiro sempre a migliorare e fare meglio però dopo venti anni di carriera essere ancora qui a cantare Mozart è già una cosa che mi rende più che felice.

Per concludere la nostra chiacchierata le vorrei chiedere se c’è qualcosa che ancora non ha fatto ma le piacerebbe fare.
Se fosse possibile vorrei vivere ancora altri duecento anni (ride). Sono tantissime le cose che vorrei fare anche al di fuori della lirica perché sono una persona che si interessa a qualsiasi cosa, non mi annoio mai. La vita è troppo bella per fare solo la cantante lirica, ci sono almeno altre mille cose che sono altrettanto interessanti.

SILVIA